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Saint-Lô sotto le bombe

Autore : 
ROGER Jean
Racconto raccolto da Etienne Marie-Orléach
Edizione critica, presentazione e note di Etienne Marie-Orléach

Jean Roger ha appena compiuto 18 anni quando scoppia la Seconda Guerra Mondiale. Nel 1944, il giovane è addetto ai servizi di esattoria ed abita a Saint-Lô, ma è solo nel 1984 che scrive i suoi ricordi di quel periodo. Il racconto è già stato pubblicato in occasione del 50° anniversario dello Sbarco e della Battaglia di Normandia, cfr. J. ROGER, «Saint-Lô – La danse infernale», in M. Boivin, G. Bourdin, J. Quellien (dir.), Villes normandes sous les bombes, Caen, Presses Universitaires de Caen – Le Mémorial de Caen, 1994, p. 187-196. Il titolo Saint-Lô sous les bombes è una nostra proposta giacché il racconto di Jean Roger non ne ha.

Come la maggior parte dei francesi, la domenica mattina del 4 giugno 1944 ascolto, molto presto, la BBC, sperando di apprendere che finalmente c’è lo sbarco.

Niente... ma le notizie sono, ciononostante, buone. Roma è liberata, Badoglio1 Presidente del Consiglio italiano nel 1943, dopo la caduta di Mussolini. All’indomani della presa di Roma da parte degli Alleati, le formazioni politiche italiane rifiutano di rinnovare l’incarico a Badoglio che finisce per dare le dimissioni. ha dato le dimissioni, Churchill, Eisenhower e de Gaulle partecipano a una riunione a Londra2 Il giorno prima dello sbarco in Normandia, de Gaulle incontra Churchill e Eisenhower a Londra. Essi discutono dell’amministrazione della Francia e dei «paesi vinti» una volta liberati, ma non di questioni relative all’imminente sbarco.. I russi avanzano in Polonia e in Romania. L’epilogo ineluttabile pare prossimo. C’è un tempo stupendo. Va tutto bene.

Da molte settimane «si» sente che IL grande evento accadrà, che deve accadere. I bombardamenti in Francia sono raddoppiati. Sempre più spesso i sovietici esigono dagli Alleati sforzi supplementari. In Italia, ovunque, i tedeschi sono sulla difensiva. I messaggi personali, strani e misteriosi, si moltiplicano3 Messaggi in codice diffusi sulle frequenze della BBC allo scopo di comunicare con le reti della resistenza francese. Prima dello Sbarco i messaggi giungono per preparare l’operazione: in particolare il sabotaggio delle vie di comunicazione o di trasmissione.. L’argomento di tutte le conversazioni, lo Sbarco, sul quale i tedeschi hanno dapprima ironizzato, diventa ora, sul fronte occidentale, la loro maggiore preoccupazione.

Pare imminente.

Con gli amici facciamo pronostici, di continuo modificati, sui presunti luoghi delle operazioni. Ma siamo mediocri strateghi: nessuno immagina che saranno le nostre zone!

Sul piano interno la situazione diventa tesa. Ogni giorno ci sono amici nostri arrestati dalla Gestapo. È Junger, alias Dufour, che dirige le operazioni.

Come una tragedia magistralmente allestita, l’intensità e la tensione crescono. Meglio sarebbe arrivare ora all’epilogo. I nervi sono a fior di pelle.

Avrò 23 anni il prossimo 2 Agosto. Membro, modesto, della Resistenza (OCM)4 L’Organizzazione Civile e Militare è uno dei movimenti meglio radicati nell’Ovest della Francia. La sua azione si rivelerà particolarmente efficace, soprattutto nel fornire informazioni sui sistemi difensivi tedeschi e nel salvataggio degli aviatori i cui aerei sono stati abbattuti., aspetto istruzioni per partecipare in modo più attivo allo sforzo bellico. Per il momento non mi sono ancora ripreso da un grande spavento. Qualche giorno fa la mia rete è stata seriamente smantellata. Dufour è venuto nel mio ufficio ad arrestare il mio diretto superiore, il signor Deffes. La questione non è però chiusa, non sono ancora tranquillo. È quindi per me, come per molti altri, una ragione in più per aspettare con grande impazienza lo sbarco, per tanti motivi liberatore.

Il giorno seguente

Tranquilla mattinata trascorsa in ufficio, nella Place du Champ de Mars, dove sono ricomparso dopo una «latitanza» di qualche giorno dovuta ai numerosi arresti operati nella mia rete.

Nel pomeriggio, in compagnia di tre amici, gioco a carte in una casa al posto della quale, ora che scrivo, si trova il ristorante «La Laitière normande», dietro l’ufficio postale. Verso le 16 la nostra attenzione viene attirata da violenti tiri della difesa antiaerea. Nutritissimi, provengono dai cannoni installati in vari posti d’osservazione sui tetti, nei paraggi della stazione ferroviaria, e sulla scuola elementare superiore5 Tipo di scuola che oggi non esiste più: corrisponde in Italia alla scuola media inferiore [NdT.]. femminile della strada di Carentan. I tedeschi sparano, a vista, sugli aerei americani, di cui noi distinguiamo nettamente le stellette, che scendono in picchiata sulla stazione.

Appoggiati al parapetto della finestra assistiamo allo spettacolo. Vediamo i cacciabombardieri piombare sulla stazione, raddrizzarsi all’ultimo momento, salire a candela, fare un gran giro per poi tornare sull’obbiettivo. Come si vede al cinema. Un altro po’ e avremmo applaudito i nostri Amici per il loro coraggio, il loro sangue freddo, e fischiato i tedeschi così goffi! Questi amici aviatori ci confermano che gli Alleati non bombardano alla cieca gli obiettivi nei luoghi in cui i civili corrono dei rischi. Tale rodeo è per noi la riprova che i giornali e la radio mentono quando presentano gli aviatori Alleati, nelle operazioni di questo tipo, come militari che non si preoccupano della sorte dei civili. Indubbiamente, «Radio-Parigi è bugiarda, Radio-Parigi è tedesca»6 Slogan lanciato da Pierre Dac sulle frequenze della BBC che dileggiava la radio francese sottomessa alla censura e alla propaganda.I l gioco di parole tra il verbo francese «ment» (terza persona, presente indicativo di mentire) e il sostantivo «Allemand» (tedesco): «Radio-Paris ment, Radio-Paris est allemand», si appoggia sul parallelismo sintattico soggetto-verbo e sull ’ omofonia ment-allemand che, funzionando come una ricca rima interna, insinua l ’ identificazione bugiardo=tedesco [NdT].. Questo sentimento di totale sicurezza, di assoluta fiducia, 48 ore dopo rischierà di costarci la vita.

Ore 23: sono a casa mia quando un frastuono fortissimo ci attira verso la finestra. È un aereo che sembra in difficoltà e sfiora i tetti. Si dirige verso Tessy. Siamo rapidamente informati che quel bombardiere è effettivamente precipitato nella zona del ponte di Gourfaleur. Alcuni aviatori canadesi saranno trovati carbonizzati il giorno dopo. Spaventoso. Prima di addormentarmi, ascolto le ultime notizie da Londra. I messaggi personali sono sempre più numerosi.

Il 6 Giugno

Verso le 5 vengo svegliato da un fortissimo rumore di fondo. Una specie di cannonata ininterrotta, un temporale senza fine, dei bagliori, a quanto sembra, provenienti sempre dalla costa Est. Anche i miei genitori sono svegli. La diagnosi è veloce, «loro» arrivano! All’erta, per tutta la notte alle finestre, la nostra folle speranza prende corpo. Le prime informazioni diffondono i messaggi di Roosevelt, Eisenhower e de Gaulle7 Alle 10 la BBC diffonde i messaggi registrati. Il primo emesso sulle frequenze della radio inglese è quello di Eisenhower, poi seguono i discorsi del Re di Norvegia, del primo ministro del Belgio, ecc. De Gaulle, nel conflitto che l’oppone al comando alleato sulla questione dell’amministrazione della Francia una volta liberata, prenderà la parola da solo, all’ora da lui scelta, a fine pomeriggio. «La battaglia suprema è incominciata. Com’è ovvio, è la Battaglia di Francia ed è la battaglia della Francia!!!», dirà de Gaulle quel 6 giugno del 1944.. Una gioia intensa mi invade rafforzata dall’attesa. Ancora qualche ora, qualche giorno tutt’al più, e tutti i Dufour avrebbero pagato. La nostra umiliazione collettiva giungeva alla fine. Sì, era il più bel giorno della mia vita. I prigionieri, le tessere del razionamento; i collaborazionisti, le sirene d’allarme, i bombardamenti, la Gestapo, Hitler e la sua banda di gangster... tutto stava rapidamente rientrando nell’ordine. L’ora della rivincita era suonata.

In quel momento non mi è mai passato per la testa che lo sbarco potesse fallire.

Dalla finestra del nostro alloggio, al terzo piano, al n° 3 della rue de la Poterie, davo un’occhiata in direzione della Feldkommandantur8 Sede del comando militare tedesco sotto la direzione di un colonnello [NdT]. 722 a circa 80 metri da lì, in fondo ad una piazzetta, di fronte alla rue Dame Denise. Tutto è confermato. Inizia a regnarvi una grande agitazione. È tutto un viavai di veicoli militari e molti bagagli sono stipati nelle auto. Questo trasloco in fretta e furia mi riempie di gioia. Per osservare da più vicino gli avvenimenti scendo al pianterreno. All’improvviso vedo arrivare, alla Kommandantur, un’auto tedesca piena di soldati dalle tenute giallo-bruno, coi volti impiastricciati di nero. Siccome sono strettamente sorvegliati dai soldati tedeschi, deduciamo che si tratta dei primi paracadutisti americani prigionieri portati lì per essere interrogati. Accenno, il più furtivamente possibile, una strizzatina d’occhio nella loro direzione per testimoniare un po’ di simpatia in un momento molto difficile per loro. Mi sembrano stanchi e assenti. Tutto il giorno, anche se ascolto le notizie che provengono da Londra, vado in giro per la città con gli amici per tentare di ottenere le ultime «dritte», e per cercare di vedere se i tedeschi accelerano o no i loro preparativi per la partenza. Conviene osservare senza dare alle truppe d’occupazione l’impressione di volerle provocare, giacché la loro collera potrebbe essere pericolosa. Le belve ferite sono da temere. Nel corso delle nostre «ricognizioni» passiamo davanti alla prigione. I nostri amici rinchiusi conoscono «la novità»? Ancor più di noi, debbono rallegrarsi di questo pur essendo in ansia per il loro immediato avvenire.

Nessun aereo tedesco in vista. A quando l’arrivo degli Alleati? Ci sembra di poter discutere sulla data, sull’ora, ma non sul principio. Iniziamo già ad architettare dei piani per accoglierli... purché vada tutto bene.

Questa giornata passata nella gioia, nella curiosità, nell’ansia, nell’attesa, nell’impazienza, nell’idea inebriante di trovarsi al centro degli avvenimenti, si conclude. Le notizie più recenti sembrano buone. Alle 18 e 50 salgo in casa. C’è sempre un tempo stupendo. Mi rado velocemente aspettando la cena. Mia madre ha appena infornato un piatto di uova al latte9 Budino alla crema (con uova e latte), una specie di «crème caramel» senza caramello [NdT].. Aspettiamo mio padre che è tornato dal lavoro. Discute coi vicini sul marciapiede, osservando il viavai agitato della Kommandantur.

Improvvisamente sento il frastuono, abbastanza lontano, di una squadriglia di aerei; ancora un’altra. Dalla cucina mi precipito nella sala da pranzo per cercare di vedere gli aerei dalla finestra. Il fragore sembra infatti provenire da quella parte. Vengono dalla zona di Caen e si dirigono a quanto pare verso Coutances, scorgo un volo di apparecchi ad alta quota in formazione che si stagliano in un cielo azzurro. Nello stesso tempo vedo staccarsi dagli aerei numerosi piccoli oggetti che scendono dondolando. Penso subito ai pezzi di carta argentata che sono stati sganciati, secondo una recente trovata, dagli aerei Alleati per disturbare la contraerea. Non c’è da preoccuparsi.

Mentre sto ancora facendo riflessioni, molto veloci e ammirate, sulla potenza dell’aviazione americana, ecco esplodere un boato spaventoso. Ho l’impressione che tutti i vetri si siano frantumati, e che la vetrina del ristorante Paul sia appena salita al terzo piano. Tutt’a un tratto ho la sensazione che la guerra entri in presa diretta nella nostra vita.

«Bombardano!»

«Mio Dio, e tuo padre è in strada!»

«Presto, scendiamo.»

Con mia madre scendiamo a corsa i tre piani e ritroviamo mio padre.

È indenne, scombussolato, e calpesta sul marciapiede una massa di vetri rotti dalla deflagrazione, ma continuando tuttavia a discutere con alcuni vicini, gli uni e gli altri pallidissimi.

La famiglia è riunita. Il nostro obiettivo: un rifugio.

Sotto al nostro palazzo una superba cantina, solida, col soffitto a volta, era a nostra disposizione... ma nel pomeriggio mio padre l’aveva destinata, per nostra grande fortuna, ad altro uso. Saremmo andati in quella del signor A. Lemasson, un suo amico. Così in caso di allarme prolungato avremmo potuto... giocare a carte! È quindi in questo rifugio, nella rue du Château, a circa 80 metri da casa nostra, che ci rechiamo correndo. Al nostro piccolo gruppo, si sono aggiunte due vicine, recuperate per le scale durante la nostra discesa a rotta di collo. In qualche minuto raggiungiamo il locale che ci farà da riparo. Ha in effetti un aspetto solido e relativamente confortevole: largo 10 metri e lungo 15, elettricità, candele preparate in caso di necessità, e delle fascine disposte su tutto il perimetro. Nel suo genere, abbastanza accogliente. Ci saremmo stati bene. Per raggiungere questa cantina a partire dalla piccola rue du Château occorreva attraversare un corridoio abbastanza lungo il cui pavimento era formato da assi che coprivano una botola utilizzata per calar giù le botti di sidro; poi una scaletta a chiocciola portava al rifugio. Quando siamo arrivati, una ventina di persone vi aveva già preso posto. Nessuno di loro aveva avuto un contatto diretto con i luoghi bombardati qualche minuto prima, perciò erano tutti relativamente tranquilli.

Verso le 20 e 30, visto che tutto è calmo, in assenza di nuovi bombardamenti, decido di andare velocemente nel nostro appartamento, a recuperare due valigie preparate per ogni evenienza da mia madre durante il pomeriggio, e che, nel panico delle ore 20, avevamo dimenticato. Occorreva inoltre chiudere bene le porte!!! Con l’inquilina del secondo piano, senza incontrare problemi, ma di corsa, facciamo andata e ritorno. La città è deserta e silenziosa. Verso le 20 e 45 arriva nel rifugio il suocero del signor Lemasson, Henry, farmacista a Saint-Lô. È membro delle squadre della Difesa passiva. Sorpreso per strada, qualche centinaio di metri più in là, mentre stava di pattuglia con alcuni dei suoi colleghi, ci offre i primi segni, molto preoccupanti, della guerra.

Pallido, ricoperto di polvere, spaventato, con tracce di sangue sul volto, era seriamente traumatizzato. Alle 20 una bomba gli è caduta vicino e l’ha per metà seppellito. Rimessosi un po’, ci raccontò che alcuni nostri vicini erano stati uccisi. Il racconto provocò una grande agitazione nell’uditorio. Entravamo brutalmente nella guerra. La sensazione che tutte le cose potessero non andare come avevamo sperato iniziò ad attraversarmi la mente.

Terminato il racconto, un po’ riconfortato, felice di essersela cavata e di aver ritrovato la sua famiglia, il signor Henry venne a sedersi tra noi.

Una lunga vita inizia. Che cosa aspettiamo...? Una ripresa dei bombardamenti? Che la notte trascorra per tutti? L’arrivo delle truppe Alleate? Immagino che ciascuno faccia in quel frangente le proprie riflessioni. Dopo un’ora passata a commentare, a fare pronostici, poco a poco, complice la fatica, il silenzio cade rapidamente sul nostro gruppetto. Molte persone si assopiscono. Verso mezzanotte, si leva una voce:

«Probabilmente, ora non succederà più niente. Staremmo comunque meglio nel nostro letto. Dovremmo andare a dormire per...»

Un frastuono terribile riecheggiò, uno spostamento d’aria caldo, immenso, spazzò la cantina che si mise a vibrare. Tutti compresero immediatamente che il bombardamento era ricominciato, e che eravamo al centro dell’azione. Fu fenomenale, inimmaginabile; avevamo l’impressione che poco a poco le bombe si avvicinassero, ci accerchiassero, e che la prossima sarebbe stata «quella buona». Da uno spiraglio, quell’alito d’aria entrava nel rifugio. Avevo l’impressione di essere su una nave in piena tempesta. Le deflagrazioni ci sollevavano dal suolo, ricadevamo sulle fascine per venir di nuovo buttati per aria nella frazione di secondo successiva. Il nostro stomaco era sempre più in subbuglio. Di già, alle prime bombe, la luce si era spenta e la polvere spessa, tenace, aveva ovunque il sopravvento, mentre un sinistro bagliore rossastro s’infiltrava sempre più nella cantina. Non avevo più la forza di pensare e di avere paura; ero svuotato, distrutto. A proposito, eravamo vivi? Eravamo morti? Era già tutto finito? Saremmo morti schiacciati, bruciati, soffocati? Alcuni pregavano, qualcuno gridava, la maggior parte restava in silenzio, aspettando la fine.

All’improvviso, una persona che stava vicino allo spiraglio gridò: «Dobbiamo uscire da qui immediatamente, moriremo soffocati.» Ero seduto vicino alla porta che conduceva alle scale dell’uscita. Io e la persona seduta accanto a me sulla fascina, decidiamo10 I bruschi passaggi dal passato al presente della narrazione, specie nei momenti più drammatici, sono caratteristici del racconto di Jean Roger: l ’ emozione traumatizzante del vissuto tende ad inscriversi in un eterno presente [NdT]. subito di impedire alla gente di tentare quella follia. Ci sembra che un simile tentativo sia necessariamente suicida. Avevamo torto o ragione? Quegli sventurati, che iniziavano a essere molto infastiditi dalla polvere, si misero ad insultarci... poi si calmarono. L’inferno continuava. La gola diventava sempre più asciutta, avevo sete. Quanto tempo durò quel ballo infernale? Nessuno ha potuto dirlo con precisione. Poco a poco, mi venne in mente un’idea che si concretizzava col passare dei secondi: e se il bombardamento cessava... forse... il massacro non sarebbe durato in eterno!

Come per miracolo, improvvisamente, a un botto terribile, non ne seguì un altro. Qualche frazione di secondo di silenzio, poi un secondo, poi due. Il sogno insensato diventava realtà... il bombardamento diminuiva, cessava. Eravamo vittime di un’illusione? Non bisognava perdere tempo. Dissi ai miei vicini: «Aspettate qualche istante, vado a vedere se non siamo murati dentro, e torno subito a prendervi.»

Senza attendere la loro risposta, balzo su per le scale. In poche falcate, in una nube di polvere, con la valigia in mano, arrivo all’ultimo gradino. Gioia, la strada è libera. Dall’estremità del corridoio intravedo la via o più esattamente un bagliore rossastro.

C’è tuttavia un piccolo problema. Per uscire, devo attraversare i due metri di corridoio che separano le scale della cantina dalla porta che dà sulla rue du Château, ma il pavimento del corridoio è... scomparso, spazzato via dalle bombe. Angosciato all’idea che tutto possa ricominciare da un momento all’altro, che la nostra liberazione possa dipendere dalla mia rapidità, finisco di scardinare una porta già mezza smantellata che ho trovato nel corridoio, e la sistemo come una passerella, fragile, stretta, ma utile. Prima di andare a cercare i compagni, non posso resistere al bisogno impellente di andare in strada per... «VEDERE». Nel preciso momento in cui raggiungo l’uscita un orribile rumore di bombe, in caduta libera, mi raggiunge. Questo fragore si amplifica, si amplifica: «È per me!» Mi butto a terra, e col naso nel rigagnolo, cercando di farmi piccolo piccolo, aspetto dicendomi: «Stavolta è finita», e... niente, nessuno scoppio! Mi rialzo subito per andare a cercare gli altri. Nonostante la mia estrema precipitazione, ho avuto il tempo di dare un’occhiata alla città. È terribile, tutto pare avvolto dalle fiamme: un rogo vero e proprio. Da tutte le parti si elevano grida: «Aiuto, non mi abbandonate, soffoco, sono intrappolato sotto le macerie...»

Ripercorro la passerella e arrivo in cima alle scale mentre da esse escono le prime persone. Il bombardamento è finito, ma è pericoloso uscire dalla casa sulla porta traballante a causa del corridoio «sfondato». Pian piano recupero ragione e dignità ed aiuto le persone più anziane a uscire. Evacuata l’ultima, mi appresto a recuperare la valigia, e a raggiungere i miei genitori che poco prima ho aiutato a varcare il ponticello di fortuna. Ma la valigia è sparita, portata via per sbaglio da una di quelle persone in fuga. Dopo aver aiutato la signora Henry a liberarsi, giacché è rimasta impigliata in un filo elettrico che le si è attorcigliato intorno al tallone, in poche falcate raggiungo i miei genitori e corro verso... la sicurezza.

«TUTTI AL TUNNEL», è la parola d’ordine. Sappiamo, da un po’ di tempo, che i tedeschi hanno scavato un rifugio incredibile, probabilmente indistruttibile, sotto la place des Beaux Regards, a circa 200 metri dalla casa dei Lemasson. Lì saremo del tutto al sicuro. Correndo verso di esso, passiamo davanti alla nostra casa di rue de la Poterie. All’altezza del numero 5 non c’è più la casa, solo 80 centimetri di rovine fumanti, di quelli rimasti dentro nessuno è sopravvissuto. Le bombe l’hanno colpita in pieno distruggendola. Tutta la via è nello stesso stato. Che spettacolo! Dappertutto fiamme, rovine, polvere, grida, invocazioni di aiuto, fili elettrici e cumuli di calcinacci. Le strade non hanno più un tracciato, le macerie delle case occupano la carreggiata, ci sono buche, montagnole, fili, e ho sete, tanta sete. Passando davanti al sagrato di Notre-Dame intravedo, sui gradini della cattedrale, una donna quasi del tutto svestita, con un bimbo in braccio. Sembra che stia aspettando... chi?… che cosa? Penso spesso a loro... che fine avranno fatto?

Quanto tempo abbiamo messo per fare quei duecento metri, dalla rue du Château all’ingresso del Tunnel, nel caos di un percorso in cui ogni buca è una trappola notturna? Ora tanti nostri vicini, come topi, escono dalle case distrutte e tutti si dirigono verso il tunnel.

Arrivando di fronte al celebre ingresso del rifugio miracolo, sento qualcuno dire: «È vietato entrare, i tedeschi non vogliono»11 Il sotterraneo, costruito dai tedeschi, accoglierà circa un migliaio di abitanti di Saint-Lô, venuti a rifugiarvisi al riparo dai bombardamenti.. Data l’urgenza non è il caso di polemizzare. Il signor Lemasson, con il quale siamo rimasti, dice allora a mio padre: « Venite con noi, andiamo a Saint-Ébremond-de-Bonfossé, a casa di un coltivatore che conosco, è un brav’uomo.»

Sempre ossessionati dal timore di una ripresa dei bombardamenti, scendiamo in fretta il più velocemente possibile la rampa dei Beaux-Regards, attraversiamo la passerella, diamo un’occhiata rapida alla stazione, illuminata in controluce da un incendio, e raggiungiamo subito l’alzaia in direzione di Candol. Dopo aver percorso all’incirca trecento metri, con l’impressione di essere allora un po’ al sicuro, ansimanti, ci sediamo sull’erba e guardiamo la nostra povera Saint-Lô agonizzante.

Quarant’anni dopo, ho ancora il ricordo preciso dell’immagine della nostra città messa «al rogo».

Non posso trovare l’aggettivo giusto: dantesca, apocalittica, una scena da fine del mondo. Nessun regista potrebbe ricostruire un tale spettacolo. In controluce le guglie di Notre-Dame si stagliavano su un cielo rossastro. Dappertutto le fiamme danzavano in mezzo a vortici di polvere, illuminando la città come in pieno giorno. Il bombardamento è ricominciato. Mi ricordo di essermi detto: «E pensare che ci dev’essere ancora gente là sotto»12 I bombardamenti del 6 e 7 giugno 1944 provocheranno a Saint-Lô la morte di 352 civili..

Scorgiamo gli aerei molto distintamente. Sbucano dalla notte, si tuffano nella fornace, si raddrizzano, spariscono subito rimpiazzati da altri. Un accanimento che sembra non aver fine. È orribile. Con quasi tutti i miei compagni mi sono messo a piangere.

  • 1. Presidente del Consiglio italiano nel 1943, dopo la caduta di Mussolini. All’indomani della presa di Roma da parte degli Alleati, le formazioni politiche italiane rifiutano di rinnovare l’incarico a Badoglio che finisce per dare le dimissioni.
  • 2. Il giorno prima dello sbarco in Normandia, de Gaulle incontra Churchill e Eisenhower a Londra. Essi discutono dell’amministrazione della Francia e dei «paesi vinti» una volta liberati, ma non di questioni relative all’imminente sbarco.
  • 3. Messaggi in codice diffusi sulle frequenze della BBC allo scopo di comunicare con le reti della resistenza francese. Prima dello Sbarco i messaggi giungono per preparare l’operazione: in particolare il sabotaggio delle vie di comunicazione o di trasmissione.
  • 4. L’Organizzazione Civile e Militare è uno dei movimenti meglio radicati nell’Ovest della Francia. La sua azione si rivelerà particolarmente efficace, soprattutto nel fornire informazioni sui sistemi difensivi tedeschi e nel salvataggio degli aviatori i cui aerei sono stati abbattuti.
  • 5. Tipo di scuola che oggi non esiste più: corrisponde in Italia alla scuola media inferiore [NdT.].
  • 6. Slogan lanciato da Pierre Dac sulle frequenze della BBC che dileggiava la radio francese sottomessa alla censura e alla propaganda.I l gioco di parole tra il verbo francese «ment» (terza persona, presente indicativo di mentire) e il sostantivo «Allemand» (tedesco): «Radio-Paris ment, Radio-Paris est allemand», si appoggia sul parallelismo sintattico soggetto-verbo e sull omofonia ment-allemand che, funzionando come una ricca rima interna, insinua l identificazione bugiardo=tedesco [NdT].
  • 7. Alle 10 la BBC diffonde i messaggi registrati. Il primo emesso sulle frequenze della radio inglese è quello di Eisenhower, poi seguono i discorsi del Re di Norvegia, del primo ministro del Belgio, ecc. De Gaulle, nel conflitto che l’oppone al comando alleato sulla questione dell’amministrazione della Francia una volta liberata, prenderà la parola da solo, all’ora da lui scelta, a fine pomeriggio. «La battaglia suprema è incominciata. Com’è ovvio, è la Battaglia di Francia ed è la battaglia della Francia!!!», dirà de Gaulle quel 6 giugno del 1944.
  • 8. Sede del comando militare tedesco sotto la direzione di un colonnello [NdT].
  • 9. Budino alla crema (con uova e latte), una specie di «crème caramel» senza caramello [NdT].
  • 10. I bruschi passaggi dal passato al presente della narrazione, specie nei momenti più drammatici, sono caratteristici del racconto di Jean Roger: l emozione traumatizzante del vissuto tende ad inscriversi in un eterno presente [NdT].
  • 11. Il sotterraneo, costruito dai tedeschi, accoglierà circa un migliaio di abitanti di Saint-Lô, venuti a rifugiarvisi al riparo dai bombardamenti.
  • 12. I bombardamenti del 6 e 7 giugno 1944 provocheranno a Saint-Lô la morte di 352 civili.
Numero di catalogo:
  • Numéro: TE316
  • Lieu: Mémorial de Caen
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