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Testimonianza di un abitante di Quettehou. La guerra in Val-de-Saire

Autore : 
MOUCHEL Alfred
Racconto raccolto da Etienne Marie-Orléach
Edizione critica, presentazione e note di Etienne Marie-Orléach

Alfred Mouchel, allevatore del Val-de-Saire, ricca contrada situata nell’estremo nord-est della penisola del Cotentin, ci offre qui una doppia testimonianza. Fin dal 1947, essendo amante di arte, letteratura, poesia e pittura, egli propone un primo racconto dell’esperienza dello sbarco e della battaglia di Normandia vissuta nella propria terra. Possiamo ritrovare tale testimonianza nella raccolta pubblicata da René Herval, intitolata Bataille de Normandie («La guerre au Val-de-Saire», in R. Herval (a cura di), Bataille de Normandie: récits de témoins, Parigi, Notre Temps, 1947, vol. 1, p. 120-125). Si tratta di poche pagine in cui l’autore evoca le sofferenze e le pene patite dalla popolazione sottomessa alle leggi della guerra, ma anche la speranza e le gioie legate alla Liberazione. Poi, più di trent’anni dopo, «nell’autunno della sua vita», Alfred Mouchel intraprende una riscrittura del proprio passato (la testimonianza è disponibile negli archivi del Mémorial de Caen, catalogata sotto la sigla TE 114). Ne viene fuori un racconto più ampio ma anche meno consensuale, che evoca in particolare il periodo prima dello sbarco. Abbiamo scelto di trascrivere qui in corsivo i passaggi del 1947 presenti nella seconda testimonianza. Il confronto tra i due racconti, in cui solo gli anni e la memoria interferiscono, è stimolante per tutti gli studiosi che vogliano analizzare le modifiche subite dallo stesso avvenimento quando viene di nuovo riscritto.

Dobbiamo temere il peggio poiché gli obiettivi da colpire sono vicinissimi.

Durante i bombardamenti aerei del 9 e 10 maggio 1944, le alture di Morsalines e di Crasville-Grenneville, così come la strada panoramica Quettehou-Montebourg, furono per un largo raggio completamente devastate1 Segnaliamo che nel testo originale, come succede spesso in questi racconti autobiografici, la narrazione passa bruscamente dal presente indicativo al passato remoto [NdT]. Una batteria costiera di sei cannoni è l’obiettivo del bombardamento del 10 maggio 1944. Situata sulle alture di Morsalines, essa preoccupa gli Alleati, a causa della sua gittata valutata intorno ai venti chilometri, in previsione dello sbarco su Utah Beach.. Nel campo delle prigioniere russe2Le forze tedesche, avendo perso le truppe migliori (spedite sul fronte orientale), fanno ricorso a diversi reclutamenti per compensare la mancanza di uomini e anche di mano d’opera femminile. È per questo che ritroviamo, specialmente in Normandia, reclute provenienti dai territori occupati della Russia, presunti volontari di diverse nazionalità e prigionieri russi ai quali era stata promessa la nazionalità tedesca., sei donne trovarono la morte, al pari del cantoniere comunale G. Fleury il cui corpo non fu mai ritrovato. Diverse fattorie e numerose case, inoltre, vennero completamente rase al suolo. In tanti uscirono indenni dalle proprie case distrutte. Quella stessa notte alcune bombe isolate caddero in luoghi diversi, lontano dagli obiettivi da colpire. A Quettehou, un bracciante della Buhoterie, L. Marvie, e sua moglie furono estratti dalle macerie seriamente feriti; i loro due figli vi morirono soffocati. Il comune di Valcanville dovette contare sei morti nella stessa famiglia.

Per comprendere la violenza del raid della notte del 10 maggio, basti sapere che per la sola giornata successiva furono precettati non meno di quattrocento civili, armati di pala e piccone, per rendere nuovamente transitabile la strada provinciale seriamente danneggiata per 2 km. Mentre i lavori di riparazione imposti agli abitanti di Quettehou e Saint-Vaast-La-Hougue venivano realizzati, un bravo burlone aveva creato il panico provocando un falso allarme.

Inizio giugno 1944

Da oltre una settimana, quasi ogni giorno, i bombardieri pesanti e quelli leggeri della RAF3Royal Air Force. moltiplicano gli attacchi, bombardando a tappeto quasi senza sosta le alture di Morsalines e di Crasville. Troppo spesso sfortunatamente gli ordigni colpiscono a casaccio. Le abitazioni distrutte non si contano nemmeno più. Molte famiglie della regione hanno perso una o più persone.

L’atmosfera è carica di inquietudine. I nervi sono a fior di pelle a forza di essere tesi dalle forti emozioni. Tutti aspettano! Ma di fatto cosa stiamo aspettando? Nessuno lo sa esattamente. Da vari giorni e varie notti, viviamo momenti dolorosi. La tromba del giudizio universale non ci farebbe certo più impressione di questi colpi infernali che fanno vibrare il suolo e tremare uomini e bestie. In ogni fattoria e in ogni casa situate vicino a qualche obiettivo, febbrilmente, si scava o si cerca di perfezionare un riparo che tutti vorrebbero inviolabile... Ma ahimè, al minimo allarme, o appena scesa la notte, intere famiglie corrono a rintanarsi come conigli selvatici: ma in verità dove sta la vera sicurezza? Il posto buono esiste davvero? Basti pensare che alle «macchine volanti» sono sufficienti due minuti appena per annientare il frutto di due anni di costruzioni in cemento, l’equivalente di migliaia di ore lavorative.

A Quettehou, come in qualsiasi altro posto, l’accelerazione febbrile dei preparativi denota nel nemico una paura matta dello Sbarco che sembra sempre più imminente. La malagrazia teutonica4Termine sofisticato utilizzato per evocare le truppe d’occupazione. è al culmine. Al municipio di Quettehou lo stivale rabbioso dell’interprete della Kommandantur5 Kommandantur è il nome dato alla sede locale dell’amministrazione militare tedesca. Presente nei paesi e nelle città, la Kommandantur dirige l’amministrazione del territorio occupato. martella il pavimento della sala. Il volto glabro e pieno di odio di questo «pezzo grosso» del comune lascia scorrere uno sguardo ferino ipocrita su ogni coltivatore che non dimostri buona volontà.

I singoli ordini di precettazione, appuntati nella sua enorme testa quadrata, sono senza sosta «abbaiati» e con tutta evidenza imperativi. Su ognuno di essi si può leggere questo post-scriptum vergato con l’inchiostro rosso: «Tutti quelli che non si presenteranno, saranno fucilati!» A buon intenditor, poche parole! Dunque niente da fare; bisogna obbedire senza protestare. Il sindaco non ce la fa più, è vecchio e disorientato, può solo piegare la schiena.

Uomini, cavalli, carri e mezzi sono a disposizione degli sgherri di Hitler. Ognuno, aggrappandosi alla soluzione migliore, si arma di coraggio, tanto più che questa situazione spiacevole per tutti non può durare a lungo.

Lo sfaccendato, che di solito dirige i propri passi verso le collinette prospicienti il borgo di Quettehou e il paesino di Morsalines, rimane colpito dalla splendida bellezza del panorama che si apre dinanzi a lui. È da questa graziosa serie di tondi poggetti, trasformati per il momento in fortini orrendi, che i nostri «profanatori» inquieti guardano, proprio come «la sorella Anna» dalla torre 6La sorella Anna è uno dei personaggi della favola di Charles Perrault Barbablù. , se non vedono arrivare qualcuno.

Questa magnifica corona verde smeraldo, che va da Port-en-Bessin a Barfleur e fa da ornamento al mare, sarà qui e là scavata, straziata, mutilata dall’inevitabile scontro?

Laggiù le barriere della «defunta» linea Maginot bagnano la loro sgraziata carcassa in parte coperta da alghe; al pari di grotteschi bastioni, esse erano disposte a ventaglio lungo tutta la baia di Morsalines7Nell’ambito della fortificazione del Muro dell’Atlantico (detto anche in italiano Vallo Atlantico), alcune barriere prese direttamente dalla linea Maginot sono disposte a ventaglio sulla spiaggia, come nel caso di Morsalines. In una direttiva di guerra, la n° 40 del 23 marzo 1942, Hitler ordinava la creazione di una linea difensiva, «Atlantikwall», che andasse dalla Norvegia ai Pirenei francesi seguendo le coste dell’Atlantico. Secondo Hitler, tale linea di fortificazioni, di vario tipo ma soprattutto in cemento armato, doveva essere ultimata entro la fine dell’anno (poi entro il 1° maggio 1943, ma sarà rafforzata dal generale Rommel ancora nel 1944). Mentre gli inglesi e gli spagnoli si limitavano a tradurre alla lettera il nome di tale progetto, «El Muro Atlántico», «The Atlantic Wall», gli italiani – lanciati in pieno dal fascismo in una politica linguistica antieuropeistica e xenofoba, volta deliberatamente all’autogratificazione culturale – scelsero una traduzione non letterale, «Il Vallo Atlantico». Costituendo una presa di posizione ideologica, tale scelta era fortemente simbolica: alludeva alla grande Storia Romana e al possente «Vallo di Adriano» (lat. Vallum Aelium), fortificazione in pietra che quest’imperatore aveva fatto costruire a partire dal 122 d.C. in Britannia, per impedire alle popolazioni scozzesi dell’epoca, le tribù dei Pitti, di compiere incursioni lungo la frontiera settentrionale dell’Impero Romano. Se la parola «vallo» è, prima del fascismo, un «palancato», uno «steccato» costruito genericamente in tempi di guerra (cfr. Dizionario Fanfani 1855, ristampa 1905), oppure un semplice steccato o la sponda rialzata d’un fosso, con tanto di steccato, tipica dei Romani (Dizionario Tommaseo 1905, ristampa 1963), dopo il fascismo, la parola stessa «vallo» suona come un termine arcaizzante, letterario, se non poetico (oggi nel linguaggio corrente è quindi un sostantivo inusitato) e come termine tecnico rinvia soltanto alla storia romana o, per l’appunto, al Vallo Atlantico (cfr. Dizionario Devoto-Oli 1971; Grande Dizionario Garzanti, 1987, ristampa 1993). Il Vallo Atlantico è perciò ai nostri occhi un fossile linguistico del fascismo che l’Italia repubblicana dovrebbe rimuovere, come ha rimosso negli anni ’70 le leggi fasciste a difesa della stirpe italica. Ecco perché, con una scelta europeista che privilegia semplicità e chiarezza, chiameremo sempre in traduzione italiana il suddetto «Atlantikwall» con l’espressione letterale «Muro dell’Atlantico» [NdT]. . Più in lontananza, oltre Grenneville e Aumeville-Lestre, il loro nastro bizzarro assomiglia al lungo scheletro di un gigantesco rettile preistorico.

Simile alla figura di prora di una nave, la Hougue sembra stendere nell’acqua spumeggiante il suo grande braccio, come a voler impedire che si profanino luoghi così belli e amati, che sono una vera meraviglia della natura.

Il giorno G, all’ora X 8 Gli Alleati designano il 6 giugno 1944, giorno fatidico dello Sbarco in Normandia, con l’espressione « D-Day », tradotta in francese con «jour J» [NdT].

Il 6 giugno è appena nato. Al buio, sul comodino, la sveglia segna le 2 del mattino. Malgrado sia mezzo addormentato, percepisco il rumore deprimente dei motori che fanno le fusa come un grosso gatto assopito. Spari sordi, che sembrano provenire dal mare aperto, si fanno sempre più poderosi e vicini e riecheggiano ai quattro venti scosse insolite che fanno venire la «pelle d’oca». Dalle fondamenta fino al tetto, la casa comincia a tremare, come se la mano possente di Ercole volesse sradicare le finestre e le porte dai loro cardini. Improvvisamente moltitudini di candele si accendono nel firmamento. La loro luce azzurrognola o arancione, tendente al rosso, colora a macchie il paesaggio a perdita d occhio. Dio mio, che sta per accadere?

In f retta e furia, semivestiti, muti per lo spavento e battendo i denti, attraversiamo il cortile e ci infiliamo nel rifugio naturale dell’abbeveratoio in secca, preventivamente scavato più in profondità, sotto il tronco protettore della vecchia quercia secolare, vicino all’androne. In fretta ne ostruisco il davanti con delle fascine, e là, accalcati contro l’albero storto, ascoltiamo ansimanti battere i nostri cuori. Una scheggia vagante della contraerea d i tanto in tanto si conficca ancora fumante nel suolo con un violento impatto. Di fronte, dietro la sagoma scura e fiera del vecchio forte, il profilo di un grosso incrociatore in assetto di guerra si staglia nella penombra, con la sua massa imponente e temibile. Le fauci dei suoi cannoni sputano fuoco.

Un po ovunque cadono fitte fitte le bombe della marina. La Pernelle e Grenneville se ne riempiono le «viscere». L artiglieria tedesca cerca di rispondere, ma i sibili delle pallottole si moltiplicano e vanno in ogni direzione con traiettorie frammiste a scoppi di scintille.

Aerei, che immaginiamo pesantemente carichi, si dirigono a gruppi compatti verso il centro del Cotentin. I «verdegrigio» 9 Nello scritto del 1947, per designare i nemici, invece dell’espressione «vert-de-gris», che rinvia al colore verde tendente al grigio dell’uniforme tedesca, Alfred Mouchel parla di «frisés», termine familiare e peggiorativo, alterazione del nome Fritz, che è a sua volta diminutivo del nome proprio Friedrich. Il soprannome Fritz usato per indicare i soldati tedeschi esiste anche in Italia, negli anni ’40, ma è poco usato rispetto ad altri soprannomi dispregiativi come «crucco» e «kartoffeln». Anche l’espressione «verdegrigio» non è utilizzata perché l’uniforme dell’esercito italiano, dal 1905 al 1945, è grigia tendente al verde, quindi «grigioverde» [NdT]. gridano con voce stridula nelle loro tane, là vicino nei campi delimitati da siepi10 Nella Manche, il paesaggio rurale è quello tipico del «bocage» normanno in cui campi e pascoli sono spesso chiusi, ovvero circondati da alte siepi o esili boschetti. Qui le stradine campestri sono spesso incassate. Tra la siepe e il sentiero incassato, troviamo un argine più o meno alto che scende nel fosso o direttamente sul ciglio della strada. Dato poi il clima umido e temperato, tali argini sono sempre erbosi [NdT]. , dietro Thybosville; ormai devono aver capito che il gioco per loro è fatto.

Per noi non c’è più ombra di dubbio: è davvero lo Sbarco.

La curiosità mi divora! Malgrado mia moglie voglia trattenermi, arrischio qualche timido passo fuori dalla mia buca-rifugio. L alba che comincia a spuntare stimola la mia voglia di vedere, di sapere. E poi, bisognerà pur occuparci delle nostre faccende quotidiane. Sento già muggire le vacche, che sanno esattamente quando è l ora di alleggerire le loro mammelle.

Gli apparecchi di ricognizione, assai numerosi, fanno la loro comparsa; si spostano con una certa grazia rasentando quasi la cima degli alberi. La mitraglia crepita, un forte odore di polvere aleggia nell aria un po dappertutto, depositandosi sui campi circostanti in cui, rimasti ancora appesi agli olmi degli argini, dei paracadute senza più passeggeri sbattono mollemente al vento.

Dal punto d osservazione di fortuna in cui mi sono nascosto, l innumerevole moltitudine di imbarcazioni di ogni dimensione, che ingombra l intero orizzonte marino, mi offre uno spettacolo grandioso. Il contorno violaceo delle rive, da Quinéville – Les Gourgins fino a ben oltre Sainte-Marie-du-Mont, è letteralmente sepolto sotto fiocchi ovattati di fumo e i venti ci portano indietro l’odore acre degli incendi.

Mentre mungo la vacca, all’improvviso, alla mia destra, nel locale sottostante, non lontano dalla frazione di Mansais, alcune scariche di mitragliatrice mi richiamano alla realtà. I moschetti rispondono al fuoco. Ahimè! Un gruppetto di paracadutisti, sganciato prematuramente nella «bocca del lupo» a causa di un errore strategico, ingaggia una lotta senza pietà e si appresta a vendere cara la pelle 11Anziché essere lanciato su Ravenoville, un gruppo di paracadutisti americani si ritrova per errore nei pressi di Quettehou, una quindicina di chilometri più a nord rispetto al punto di raduno. Una decina di questi paracadutisti vengono fatti prigionieri dai tedeschi. Gli altri saranno uccisi o si nasconderanno in attesa dell’arrivo degli americani che liberano il comune il 20 giugno 1944. . Tutto questo... tutto questo è l inizio della battaglia di Normandia.

Intorno al centro nevralgico

Il dado è tratto; il nostro dipartimento12 La Francia metropolitana si divide in 95 dipartimenti. Ogni dipartimento costituisce un’unità amministrativa e territoriale dello Stato che è l’esatto equivalente della provincia italiana. La Bassa Normandia è suddivisa in tre dipartimenti, ciascuno con il suo capoluogo amministrativo: Saint-Lô nel dipartimento della Manche (dipartimento indicato col numero 50), Caen nel Calvados (14) e Alençon nell’Orne (61) [NdT]. offre il primo olocausto sull’altare della patria. Per qualche tempo, patirà i tormenti più terribili che abbia mai conosciuto nel corso dei secoli. Da quando le truppe alleate hanno messo piede sul lato orientale della nostra penisola13Bloccate dal «catenaccio» di Montebourg, dove la resistenza tedesca è accanita, le truppe di Collins sbarcate a Utah si lanciano in una corsa verso l’Atlantico, al fine di separare la penisola del Cotentin dal resto della Francia. Nella notte tra il 17 e il 18 giugno, Barneville cade nelle mani degli Alleati. La 4ª Divisione di Fanteria si occuperà del corridoio orientale per la risalita verso Cherbourg., ogni giorno che passa è una pagina di gloria scolpita per i posteri. La storia del martirio di Valognes, la nostra «Versailles normanna»14Fin dal XVII secolo Valognes concentra intra muros le amministrazioni civili, religiose e militari, attirando così la borghesia. Vi vengono allora costruiti dei palazzi signorili che valgono alla cittadina il soprannome di «piccola Versailles normanna»., e di Montebourg, fiera cittadella cassinese15Epiteto dato alla cittadina di Montebourg per la presenza sul suo territorio di un’abbazia benedettina, fondata sul modello di quella di Montecassino in Italia., aleggerà sulle generazioni future.

La sorte riservata alla cittadina di Valognes, quasi interamente distrutta dall’aviazione16Valognes subisce un primo bombardamento fin dal 6 giugno 1944. Il 7 e l’8 giugno l’aviazione alleata bombarda di nuovo la cittadina, trasformandola in un cumulo di macerie., non somiglia tuttavia a quella della sua vicina del Cotentin, Montebourg, e degli immediati dintorni di essa. Va sottolineato che è proprio in quest’ultima località che si posiziona il «centro nevralgico» del terzo fronte. È qui che, dopo essersi unito con le formazioni dei paracadutisti, l’ultramoderno esercito americano sopraffà e neutralizza la tattica germanica arcinota del Generale Rommel.

Dalla «Porta della Bassa-Val-de-Saire» osserviamo, o meglio ascoltiamo, svolgersi il dramma che ora si compie dall’altra parte delle lande di Ozeville. Ogni cannonata, a seconda che risuoni in lontananza o in prossimità, ci indica il flusso e il riflusso dell’onda guerriera che dilaga per monti e per valli senza tregua. Sacrificate anch’esse, le tranquille borgate ormai non sono altro che un mucchio di ruderi in parte carbonizzati.

I tre quarti delle abitazioni e delle fattorie sono in preda alle fiamme dopo essere state messe a ferro e fuoco. Molte chiese mutilate offrono ai quattro venti i loro fori aperti e talvolta, dentro a un campanile, lasciano intravedere campane che non suonano più il simbolo della vita umana.

A Saint-Marcouf, Quinéville, Saint-Floxel, Ozeville, Azeville e Joganville, i terreni delimitati dalle siepi, le «chasses» 17Sentiero incassato nei campi o viottolo di campagna fiancheggiato da siepi, dal patois normanno «cache». Nel normanno, come nell’italiano, il fonema velare /k/ seguito da /a/ non subisce in effetti palatalizzazione [NdT]. , le strade vicinali sono disseminati di cadaveri che giacciono alla rinfusa in mezzo alle carogne degli animali. Le statistiche dimostreranno che in quest area quasi l 80% del bestiame è morto nella bufera della battaglia 18Nel dipartimento della Manche, le perdite di bestiame sono stimate in 100.000 bovini (di cui 50.000 mucche) e 10.000 cavalli.. Un odore nauseabondo infetta tutta la zona.

Molti civili trovano la morte in circostanze tragiche, la rapidità fulminea dell’invasione non ha permesso loro di allontanarsi dalle proprie case, dalle fattorie. Del resto, per andare dove? E poi, finché rimane una fiammella di speranza, finché c’è ancora la possibilità di accendere il fuoco nel camino (anima della casa), restiamo! Ma i lutti si accumulano. Non c’è famiglia che non pianga uno o più morti. E come potrebbe essere altrimenti in un simile caos? Dei combattimenti corpo a corpo hanno luogo sopra gli stessi rifugi in cui i coltivatori con i loro congiunti, e le famiglie degli operai agricoli, stanno pigiati gli uni contro gli altri, giorno e notte, in un’atmosfera di totale sconforto.

La rabbia hitleriana delle SS si scatena. Alcuni soldati perdono completamente il controllo delle proprie azioni. È in questa difficile circostanza che, in fondo ad un fosso utilizzato come rifugio, molte persone vengono assassinate a bruciapelo dalla mitraglietta di un nazista forsennato 19Il sostantivo «nazista» rimpiazza qui il termine «Boche» presente nel testo del 1947. In uso a partire dalla seconda metà del XIX secolo, «boche» è forse forma aferetica di «alboche», parola più antica dotata del prefisso «al-» la quale significa «allemand», tedesco. Ma è anche vero che l’espressione francese gergale «tête de boche» indica una persona dalla testa dura come quella di una palla di legno, la «boche» appunto, utilizzata nei giochi dei birilli [NdT]. . (Mi guarderò bene dall’intraprendere il racconto doloroso delle varie fasi della dura battaglia di Montebourg, racconto per cui non basterebbe un intero volume. D’altronde una tale testimonianza può appartenere soltanto a coloro che l’hanno veramente vissuta.)

Polowski 20Tale parola, più precisamente «z polski», significa «polacco». In realtà, «(sono) polacco» si dice anche: «(jestem) polakiem» [NdT]. !

In questo difficile periodo ogni abitante della regione cerca di tirarsi su il morale, che non è dei migliori. Dentro di sé, con una punta d’egoismo, ogni abitante si ripete spesso: non hanno alcun interesse strategico a venire qui... oppure: il tempo è dalla nostra parte...

L’azione congiunta della marina e dell’aviazione non rallenta. Su tutta la regione proiettili di vario calibro continuano qua e là a piovere. Gli incroci e le vie di comunicazione sembrano gli obiettivi principali. Guai a chi si avventura per le strade con un mezzo tirato da cavalli: le mitragliatrici aeree fanno presto a individuarlo. Dopo aver volteggiato in cerchio sulla propria preda come un avvoltoio, il «gigantesco uccello» le si avventa contro e lo scoppiettio micidiale manca di rado il proprio bersaglio. Berline, piccoli mezzi cingolati, corriere, rottami di ferro distorti, senza forma e carbonizzati, ostruiscono gli argini e le cavità dei fossati.

Sfuggiti alla battaglia, degli esseri irsuti, trasandati, fangosi, procedono in fila indiana lungo le siepi e i luoghi riparati delle stradine; in essi un profondo scoramento ha rimpiazzato l’arroganza. È questo che si legge nei loro sguardi di «animali braccati»: «Kamarad’s... molti kapout!»21Trascrizione approssimativa di «Kameraden» (al plurale) e di «Kaputt»; frase che significa: molti commilitoni sono morti., ci dice uno di loro.

Continuare a svolgere i vari lavori di fattoria, in una simile situazione e per un periodo che pare interminabile, non è una faccenda da poco. Va da sé che la maggior parte del personale delle nostre aziende agricole, situate in prima linea, si è presto trasferito a sciami in luoghi ritenuti più favorevoli per la propria incolumità. L’agricoltore coscienzioso, invece, è come il capitano di una nave in pericolo: non abbandona il timone. Le latterie sono chiuse? Che importa! Egli va comunque in aperta campagna a mungere le mucche. Per lui la questione è semplice: nel settore agricolo la disoccupazione non può e non deve esistere. Molti contadini producono il burro, spesso con mezzi di fortuna; le sostanze grasse subentrano al pane che diventa sempre più introvabile e sempre meno buono. La saccarina prende il posto dello zucchero22Per colmare l’assenza degli alimenti di prima necessità, la popolazione ha fatto spessissimo ricorso a dei «surrogati» che potessero sostituirli.. Le «pecore nere» intrallazzano con i «Kartoffeln»23 Nel testo francese, l’autore apostrofa sprezzantemente i tedeschi con il termine «Frisés». In italiano, gli abbiamo preferito il non meno dispregiativo e famoso «K artoffeln » (patate, da cui: mangiapatate) [NdT]. . Pare che funzionasse così già ai tempi delle numerose invasioni del passato.

Un mattino come gli altri, ovvero terso e soleggiato, raggiungo il monticello semifortificato di trincee e casematte occupate da un gruppuscolo di «verdegrigi» impauriti. Proprio dove, per il momento, pascola con una certa «flemma» la mia mandria, composta da una quindicina di mucche da latte. Si direbbe che si stiano prendendo un gusto matto (da vere normanne) a venire qui a sfidare gli ultimi padroni del settore24 L’espressione del 1947 «i verdegrigi», relativa all’uniforme verde tendente al grigio dei soldati tedeschi, è qui sostituita dalla circonlocuzione «gli ultimi padroni del settore»., ai quali una disciplina ferrea vieta di attaccarsi alle loro invitanti mammelle. Occupati a fare la guardia senza sosta lungo le strette trincee zigzaganti che «dominano» la grande strada costiera, essi sono visibilmente sempre meno numerosi. Soprattutto dopo il famoso giorno G, in cui quasi tutta la compagnia è salita all attacco sul fronte di Montebourg 25Considerata uno degli ultimi baluardi prima di Cherbourg, Montebourg assume per le truppe tedesche un’importanza considerevole. È per questo che molti battaglioni, come il 919mo, sono rinforzi inviati a difendere la cittadina. . Da un estremità della trincea, ben nascosta dalle frasche, un pezzo d uomo sulla cinquantina, con uno sguardo disincantato, mi guarda mungere. Pochi passi ci separano... vengo preso dalla curiosità, giacché vorrei sapere a cosa stia pensando. Con voce neutra, provo a conoscere il suo «stato d’animo»26Inizialmente nel testo del 1947: «[Con una voce] roca da contrabbasso, per sapere quello che gli passava per la testa».. A forza di gesti, riusciamo a capirci. Con l’indice alzato verso i luccicanti «apparecchi spia» 27Espressione usata per indicare gli aerei da ricognizione alleati. che solcano in ogni direzione quel vasto angolo della volta celeste, gli chiedo cosa pensi dello sbarco alleato. «Nitch goud la guerra! 28Trascrizione approssimativa per «Nicht Gut», ovvero: «Per niente buona la guerra!» », mi risponde il soldato, sbattendo violentemente la propria arma contro la parete di scisto della stretta trincea. «Che farete – gli dico – se gli americani vi sorprenderanno qui?» «Kamarad!», fa quello alzando le braccia al cielo; poi, incrociando i polsi l’uno sull’altro: «Viaggio per Canada! 29La voce sui prigionieri di guerra ammanettati trova le sue radici nel raid di Dieppe del 19 agosto 1942 in cui sono impegnati circa 4.700 canadesi e in cui molti di loro sono fatti prigionieri. Per rappresaglia all’esecuzione di un soldato tedesco, in seguito ad un tentativo di colpo di mano su Sercq nell’ottobre 1942, le autorità tedesche ordinano di legare le mani ai 1.376 canadesi catturati a Dieppe. Il governo canadese, informato di tale misura, decide di far subire lo stesso trattamento ad un medesimo numero di tedeschi, detenuti in Canada nei campi di prigionia. Questo provvedimento resta in vigore in Canada fino al 12 dicembre 1942. Per quanto riguarda i prigionieri canadesi, essi resteranno ammanettati fino al 22 novembre 1943. È quindi con uno spirito di rivalsa che, nel giugno del 1944, quasi due anni dopo lo smacco di Dieppe, le truppe canadesi sbarcano in Normandia. A questo primo motivo, si aggiunge una seconda voce che circola tra le truppe dell’esercito del Reich: alcuni indiani d’America, reclutati dall’esercito canadese, toglierebbero lo scalpo ai soldati tedeschi. Da ciò deriva la paura suscitata dal soldato canadese, la paura della sua rivincita. ». Io ho capito, e lui pure.

Più in là, all’estremità opposta del pascolo, passo ad un’altra mucca.

Da dentro la spessa siepe, tra due giovani tronchi di olmo, un giovanissimo osservatore, mezzo sommerso dal fogliame, col binocolo puntato, osserva la moderna flotta, ancorata nelle acque agitate della costa, che scintilla al sole. Gli occhi del soldato, color blu pervinca, sono dolci e profondi, il suo volto fiducioso e aperto sembra quasi allegro. Davanti a questo atteggiamento sorprendente, appena ho finito di mungere la mia bestia, mi avvicino all’uomo, il quale con un gesto mi fa segno e mi tende il suo cannocchiale. Mentre appago le mie pupille guardando sfilare i carri armati alleati, che si arrampicano lungo il greto tra Sainte-Marie-du-Mont e Saint-Martin-de-Varreville, il mio strano compagno, nascosto dietro di me, si mette a fischiettare in sordina30La locuzione avverbiale «in sordina» rimpiazza qui l’espressione del 1947: «piano tra le labbra». la popolare aria della nostra celebre marcia, «La Madelon». Preso dallo stupore, gli lancio un’occhiata sbalordita!! Allora, il povero ragazzo mette la mano sul cuore e mormora: «Polowski»! Era sincero? Sì...

Una settimana dopo, nel cuore della notte, rischiando parecchio31Nel racconto del 1947, al posto dell’avverbio «parecchio», abbiamo il gruppo nominale molto più espressivo «la forca»., accettai spontaneamente di nascondere nel granaio, per due giorni e due notti in mezzo al fieno, quel polacco e un suo connazionale. Nel frattempo avevo saputo che un ufficiale polacco era stato raccolto, ferito, in un pascolo che costeggiava la riva della Redoute a Morsalines, e curato nella sede cittadina della Croce Rossa: mi premurai di condurli, con loro somma gioia, presso quel compatriota.

Poco tempo dopo, da fonte attendibile, seppi che Edmond Borkowski e Bronisouav Chonosjski, liberati dal giogo nazista, si erano aggregati alla legione per riprendere la lotta e contribuire alla liberazione della loro eroica patria.

Passeggiata notturna

I «verdegrigi» di Hitler ora se ne infischiano altamente delle leggi della guerra. Vogliono farci sgobbare per loro fino alla fine, ma riderà bene chi riderà per ultimo!

L’istallazione di migliaia di pali «antialiante» soprannominati gli «asparagi di Rommel» si è già rivelata inutile e inefficace. Il lavoro forzato con pala e piccone è ormai in declino e la popolazione maschile adulta sospira di sollievo. I coltivatori invece sono sempre più costretti a lavori ingrati con veicoli da tiro e sono in crescita i trasporti notturni di svariate munizioni; ma questo non è forse un segno premonitore dell’immenso privilegio di cui l’intero nostro Val-de-Saire presto beneficierà?

La popolazione capisce, con immensa gioia, quale sia la propria insperata fortuna quando vede gli ultimi nuclei di resistenza tedesca lasciare la zona alla chetichella e... senza «passo dell’oca», per trincerarsi su una nuova linea di difesa che, secondo loro, è «kolossale»! È quella che chiamano la strategia elastica. Per noi, è la liberazione tanto desiderata e tanto attesa! Qua e là, c’è ancora qualche pezzo di artiglieria, di contraerea, per continuare a mascherare il rovescio della medaglia, ma gli sgradevoli cortei di carri a quattro ruote sono definitivamente scomparsi dall’orizzonte stradale.

La soluzione trovata dall’autorità tedesca per rimediare alla crisi dei trasporti coinvolge, come abbiamo già detto, chiunque possieda un cavallo e un veicolo.

Essendo nel novero, stasera invito il lettore a salire con me sul carretto. Facciamoci coraggio, è forse l’ultimo viaggio. Andremo a Tourlaville? A La Glacerie? A Gonneville? Non preoccupatevi! Lo sapremo solo quando saremo arrivati, sempre che il volgare capofila, un cavaliere con cui abbiamo a che fare, voglia farcelo sapere. Sotto i tigli della piazza del borgo, il nostro interprete, con l’arma sottobraccio e la penna in mano, come un «bulldog», «guaisce» ad ogni interlocutore il programma e il compito che gli spetta. Il crepuscolo avvolge con un manto oscuro il nostro assembramento. È già buio quando la carovana si scompone per andare a fare il carico. Il convoglio deve ritrovarsi sulla banchina della strada di Theil-Cherbourg. L’ora della partenza è fissata a mezzanotte. Grazie a Dio, i depositi di esplosivo, posti sul fianco della stradina di campagna che porta alla chiesa Saint-Vigor-de-Quettehou, sono quasi vuoti: giunti lì, è come andare a confessarsi! Bisogna aspettare il proprio turno.

Un aereo invisibile si avvicina; forse ci sta cercando. D’istinto, piazzo stretto stretto il mio carretto lungo il muro del presbiterio. Una forte detonazione esplode nell’aria, è un razzo di segnalazione. Il lampo bluastro illumina i dintorni. Si vede tutto come in pieno giorno.

Esasperato dalla nostra indolenza carica d’ironia e da quel brusco richiamo alla realtà, il servitore del Diavolo – anzi di Hitler – lascia esplodere la sua rabbia. Da autentico crucco32 L ’appellativo dispregiativo «crucco», utilizzato dagli italiani durante la Seconda Guerra Mondiale per designare i tedeschi, in origine indicava gli slavi, poiché deriva dalla voce serbo-croata « kruh » che significa «pane». Tale termine è un possibile equivalente del francese «boche», qui impiegato dal narratore [NdT]. urla più forte che mai. Incapace di farci sbrigare il lavoro più in fretta, tratta in malo modo nel muoversi tutto ciò che intralcia i suoi passi e carica da solo più della metà del materiale. Lentamente, senza intoppi, il corteo si mette in moto. Questo tragitto sconosciuto non sembra affatto rallegrare la mia brava giumenta Mouvette: la sento contrariata; appena fiuta un «vestito verdegrigio», soffia forte con le froge e scuote la testa in ogni direzione (è probabilmente il suo modo di protestare). Che volete farci! Il carattere non si può cambiare... e le bestie sono come le persone. Lei è estremamente irrequieta... come il suo padrone!

Fa talmente buio intorno a noi da non vedere a un palmo di naso. Abbiamo l’impressione di penetrare velocemente dentro un tendone tutto macchiato di inchiostro di china. Per quanto riguarda l’illuminazione, dobbiamo accontentarci del minuscolo bagliore rosso che si riaccende di tanto in tanto sulla punta delle sigarette dei fumatori incalliti, nonostante il divieto di fumare. I conducenti sono scontrosi. Non giunge nemmeno uno scoppio di voci a turbare gli scatti regolari delle ruote che accompagnano lo scalpiccio degli zoccoli delle brave giumente da tiro. A lungo cullati da questo monotono ritornello, procediamo così fino a quando il ronzio del motore di un bombardiere ci fa nuovamente drizzare le orecchie. Bum! Bum! Ecco, ci siamo, a circa cento metri dalla nostra colonna, le bombe hanno interrotto la strada. Prese dal panico, le povere bestie si impennano, i loro muscoli tremano, le narici fumano. A modo suo, ognuno cerca di rassicurarle e tranquillizzarle. Nel frattempo, il novello «Don Quichotte», in sella al suo ronzino, cerca di orientarsi. Se è vero che tutte le strade portano in città, è altrettanto certo che quelle scelte da questo «falcetto assassino» sono piene di salite ripide e di piane depresse disseminate di pozzanghere, e ci conducono a destinazione solo quando comincia a spuntare l’alba. Al centro di un massiccio, appare la sagoma scura del castello di Brillevast. Inutile dire che l’aspetto e l’epoca di questa costruzione sono l’ultima delle nostre preoccupazioni. Vediamo una sola cosa e puntiamo a un solo obiettivo: raggiungere ciascuno il proprio domicilio prima che faccia pieno giorno.

Ci fanno svoltare a sinistra, sotto una volta ombreggiata di alberi secolari. Tonnellate di munizioni vi giacciono alla rinfusa in un disordine indescrivibile. È in questo curioso deposito che, velocemente, svuotiamo i nostri dannati carretti. Al ritorno, per fortuna, un cielo nuvoloso, rafforzato da una nebbia impenetrabile come un passato di piselli, ci protegge dal temibile mitragliamento. Sono le 8 e 30 quando, sfinita e stremata come il suo padrone, la mia coraggiosa Mouvette ritorna finalmente nella stalla, annusando avidamente una razione di avena.

Lo spirito delle bestie

Sembra incredibile ma «le bestie con le corna» della regione di Quettehou non sono collaborazioniste! Il lettore stesso potrà giudicarlo dai fatti. Il giorno prima della grande partenza quei fanatici della Kommandantur avevano organizzato presso un coltivatore del Val Vacher (il nome è già tutto un programma33 «Vacher» in francese significa: vaccaio, mandriano, guardiano di vacche [NdT].) un vero falso furto di bestiame, nel caso in cui l’imposizione prevista non avesse dato alcun risultato soddisfacente. In men che non si dica le vacche di quell’allevatore furono condotte nel luogo prestabilito, ma alla fine furono lasciate andare.

Dalla paura alla gioia

L’incomprensibile bombardamento, condotto dalla marina la notte del 20 giugno, sul pacifico borgo di Quettehou sembra provare che la ritirata definitiva, effettuata dai tedeschi la notte del 19 giugno, non era nota ai liberatori. Un’ondata di panico provoca pelle d’oca a profusione, quando la corazzata, allungando la propria linea di tiro, svela le sue vere intenzioni. Fin dal mattino, a Saint-Vaast-La-Hougue, hanno avuto la buona idea di issare la bandiera bianca. Poiché sembra che vi regni la pace, anche a Quettehou ci si appresta a fare altrettanto. Una granata viene a far visita all’officina del meccanico, poi, quasi nello stesso momento, un’altra arriva nel giardino dell’esattore. Tanto basta per stimolare l’iniziativa di alcuni che sanno cavarsela in tutte le situazioni e sanno a scoppio ritardato smorzare i pregiudizi. Presto! Una grande bandiera tricolore stesa in bella vista nel centro della piazza e la pioggia di proiettili si ferma. Gli agili «aquiloni» 34 Gli aerei in questione erano dei caccia Draken, di produzione svedese. La parola «Draken» significa drago e aquilone; in effetti, questi aerei erano draghi sotto il profilo della potenza e aquiloni sotto quello della forma e della leggerezza. Per questo motivo il narratore li chiama con il loro epiteto più noto («cerfs-volants», aquiloni), mentre in Italia, per indicarli, si utilizza il solo termine straniero Draken [NdT]. puntano dritti sui tetti; volano talmente bassi che si direbbe stiano per scendere in strada. Un aviatore, in piedi sulla carlinga, fa dei gesti amichevoli. È finita, la tempesta è passata.

Si esulta a Quettehou, a Saint-Vaast, a Barfleur e in tutti i paesi della zona. L’allegria è al culmine. Beninteso, un’allegria misurata, sana, umana, che non offende affatto l’altrui disgrazia. Si spande sui volti dei giovani e s’irradia fin dentro le plissettature affumicate o sgualcite dei tricolori riesumati dai nascondigli: questi cari e piccoli simboli, anch essi, sventolando nel tiepido vento d’estate, ci cantano a modo loro la gioia per la liberazione e la resurrezione della Francia.

Certo, il mostro hitleriano non è ancora fuori combattimento. I suoi artigli insaziabili continueranno a sguazzare ancora a lungo tra nuove rovine e a cibarsi di altre vittime. Ma alla fine, grazie ai cacciatori instancabili che lo inseguono senza tregua, il mostro stremato indietreggia e guaisce sul sentiero che lo porta alla tana.Descrivere l’arrivo dei primi americani tra le nostre mura significherebbe ripetere quello che tutti noi abbiamo visto sulle foto, o letto, nei reportage delle riviste di guerra. Non esistono cinquanta modi diversi per manifestare la felicità; ovunque la scena è la stessa: grida di gioia, brindisi, sigarette, risate, fiori e anche baci e abbracci: «i tre bacetti sulle guance, come si usa fare nella Manche!»Va da sé che, allo scopo di ritardare l’avanzata dei mezzi blindati e motorizzati, prima di ritirarsi i nemici hanno minato i ponti e i principali crocevia. Tuttavia, per un motivo o per un altro, la dinamite spesso non fa effetto.Non lontano dalla fattoria di Rabey, coltivata dal mio amico René Galel, sulla strada per Valognes, dei grossi alberi sono stati segati e messi di traverso sulla carreggiata. Molti boscaioli pieni di buona volontà offrono il proprio aiuto disinteressato per liberare il passaggio. La magnifica chioma di una quercia è battezzata seduta stante «l’albero della libertà». Agganciata fermamente a un trattore, viene portata in trionfo per tre chilometri e infine condotta, quando si ode il canto del gallo, nel bel mezzo della Place du Marché.

In serata, alcuni buontemponi leggermente brilli, appollaiati sui rami come Bacco sulla botte, si lanciano in un recital cacofonico in stile jazz e con voce baritonale.

Ovviamente quel giorno memorabile riempie tutti noi, in casa, di una gioia indicibile. Per ricordare a modo mio quei momenti storici fatti di angoscia, felicità e speranza, passo le mie serate a tracciare la sintesi delle dure prove che seppe superare la brava gente del Val-de-Saire grazie al suo sveglio carattere normanno.
  • 1. Segnaliamo che nel testo originale, come succede spesso in questi racconti autobiografici, la narrazione passa bruscamente dal presente indicativo al passato remoto [NdT]. Una batteria costiera di sei cannoni è l’obiettivo del bombardamento del 10 maggio 1944. Situata sulle alture di Morsalines, essa preoccupa gli Alleati, a causa della sua gittata valutata intorno ai venti chilometri, in previsione dello sbarco su Utah Beach.
  • 2. Le forze tedesche, avendo perso le truppe migliori (spedite sul fronte orientale), fanno ricorso a diversi reclutamenti per compensare la mancanza di uomini e anche di mano d’opera femminile. È per questo che ritroviamo, specialmente in Normandia, reclute provenienti dai territori occupati della Russia, presunti volontari di diverse nazionalità e prigionieri russi ai quali era stata promessa la nazionalità tedesca.
  • 3. Royal Air Force.
  • 4. Termine sofisticato utilizzato per evocare le truppe d’occupazione.
  • 5. Kommandantur è il nome dato alla sede locale dell’amministrazione militare tedesca. Presente nei paesi e nelle città, la Kommandantur dirige l’amministrazione del territorio occupato.
  • 6. La sorella Anna è uno dei personaggi della favola di Charles Perrault Barbablù.
  • 7. Nell’ambito della fortificazione del Muro dell’Atlantico (detto anche in italiano Vallo Atlantico), alcune barriere prese direttamente dalla linea Maginot sono disposte a ventaglio sulla spiaggia, come nel caso di Morsalines. In una direttiva di guerra, la n° 40 del 23 marzo 1942, Hitler ordinava la creazione di una linea difensiva, «Atlantikwall», che andasse dalla Norvegia ai Pirenei francesi seguendo le coste dell’Atlantico. Secondo Hitler, tale linea di fortificazioni, di vario tipo ma soprattutto in cemento armato, doveva essere ultimata entro la fine dell’anno (poi entro il 1° maggio 1943, ma sarà rafforzata dal generale Rommel ancora nel 1944). Mentre gli inglesi e gli spagnoli si limitavano a tradurre alla lettera il nome di tale progetto, «El Muro Atlántico», «The Atlantic Wall», gli italiani – lanciati in pieno dal fascismo in una politica linguistica antieuropeistica e xenofoba, volta deliberatamente all’autogratificazione culturale – scelsero una traduzione non letterale, «Il Vallo Atlantico». Costituendo una presa di posizione ideologica, tale scelta era fortemente simbolica: alludeva alla grande Storia Romana e al possente «Vallo di Adriano» (lat. Vallum Aelium), fortificazione in pietra che quest’imperatore aveva fatto costruire a partire dal 122 d.C. in Britannia, per impedire alle popolazioni scozzesi dell’epoca, le tribù dei Pitti, di compiere incursioni lungo la frontiera settentrionale dell’Impero Romano. Se la parola «vallo» è, prima del fascismo, un «palancato», uno «steccato» costruito genericamente in tempi di guerra (cfr. Dizionario Fanfani 1855, ristampa 1905), oppure un semplice steccato o la sponda rialzata d’un fosso, con tanto di steccato, tipica dei Romani (Dizionario Tommaseo 1905, ristampa 1963), dopo il fascismo, la parola stessa «vallo» suona come un termine arcaizzante, letterario, se non poetico (oggi nel linguaggio corrente è quindi un sostantivo inusitato) e come termine tecnico rinvia soltanto alla storia romana o, per l’appunto, al Vallo Atlantico (cfr. Dizionario Devoto-Oli 1971; Grande Dizionario Garzanti, 1987, ristampa 1993). Il Vallo Atlantico è perciò ai nostri occhi un fossile linguistico del fascismo che l’Italia repubblicana dovrebbe rimuovere, come ha rimosso negli anni ’70 le leggi fasciste a difesa della stirpe italica. Ecco perché, con una scelta europeista che privilegia semplicità e chiarezza, chiameremo sempre in traduzione italiana il suddetto «Atlantikwall» con l’espressione letterale «Muro dell’Atlantico» [NdT].
  • 8. Gli Alleati designano il 6 giugno 1944, giorno fatidico dello Sbarco in Normandia, con l’espressione « D-Day », tradotta in francese con «jour J» [NdT].
  • 9. Nello scritto del 1947, per designare i nemici, invece dell’espressione «vert-de-gris», che rinvia al colore verde tendente al grigio dell’uniforme tedesca, Alfred Mouchel parla di «frisés», termine familiare e peggiorativo, alterazione del nome Fritz, che è a sua volta diminutivo del nome proprio Friedrich. Il soprannome Fritz usato per indicare i soldati tedeschi esiste anche in Italia, negli anni ’40, ma è poco usato rispetto ad altri soprannomi dispregiativi come «crucco» e «kartoffeln». Anche l’espressione «verdegrigio» non è utilizzata perché l’uniforme dell’esercito italiano, dal 1905 al 1945, è grigia tendente al verde, quindi «grigioverde» [NdT].
  • 10. Nella Manche, il paesaggio rurale è quello tipico del «bocage» normanno in cui campi e pascoli sono spesso chiusi, ovvero circondati da alte siepi o esili boschetti. Qui le stradine campestri sono spesso incassate. Tra la siepe e il sentiero incassato, troviamo un argine più o meno alto che scende nel fosso o direttamente sul ciglio della strada. Dato poi il clima umido e temperato, tali argini sono sempre erbosi [NdT].
  • 11. Anziché essere lanciato su Ravenoville, un gruppo di paracadutisti americani si ritrova per errore nei pressi di Quettehou, una quindicina di chilometri più a nord rispetto al punto di raduno. Una decina di questi paracadutisti vengono fatti prigionieri dai tedeschi. Gli altri saranno uccisi o si nasconderanno in attesa dell’arrivo degli americani che liberano il comune il 20 giugno 1944.
  • 12. La Francia metropolitana si divide in 95 dipartimenti. Ogni dipartimento costituisce un’unità amministrativa e territoriale dello Stato che è l’esatto equivalente della provincia italiana. La Bassa Normandia è suddivisa in tre dipartimenti, ciascuno con il suo capoluogo amministrativo: Saint-Lô nel dipartimento della Manche (dipartimento indicato col numero 50), Caen nel Calvados (14) e Alençon nell’Orne (61) [NdT].
  • 13. Bloccate dal «catenaccio» di Montebourg, dove la resistenza tedesca è accanita, le truppe di Collins sbarcate a Utah si lanciano in una corsa verso l’Atlantico, al fine di separare la penisola del Cotentin dal resto della Francia. Nella notte tra il 17 e il 18 giugno, Barneville cade nelle mani degli Alleati. La 4ª Divisione di Fanteria si occuperà del corridoio orientale per la risalita verso Cherbourg.
  • 14. Fin dal XVII secolo Valognes concentra intra muros le amministrazioni civili, religiose e militari, attirando così la borghesia. Vi vengono allora costruiti dei palazzi signorili che valgono alla cittadina il soprannome di «piccola Versailles normanna».
  • 15. Epiteto dato alla cittadina di Montebourg per la presenza sul suo territorio di un’abbazia benedettina, fondata sul modello di quella di Montecassino in Italia.
  • 16. Valognes subisce un primo bombardamento fin dal 6 giugno 1944. Il 7 e l’8 giugno l’aviazione alleata bombarda di nuovo la cittadina, trasformandola in un cumulo di macerie.
  • 17. Sentiero incassato nei campi o viottolo di campagna fiancheggiato da siepi, dal patois normanno «cache». Nel normanno, come nell’italiano, il fonema velare /k/ seguito da /a/ non subisce in effetti palatalizzazione [NdT].
  • 18. Nel dipartimento della Manche, le perdite di bestiame sono stimate in 100.000 bovini (di cui 50.000 mucche) e 10.000 cavalli.
  • 19. Il sostantivo «nazista» rimpiazza qui il termine «Boche» presente nel testo del 1947. In uso a partire dalla seconda metà del XIX secolo, «boche» è forse forma aferetica di «alboche», parola più antica dotata del prefisso «al-» la quale significa «allemand», tedesco. Ma è anche vero che l’espressione francese gergale «tête de boche» indica una persona dalla testa dura come quella di una palla di legno, la «boche» appunto, utilizzata nei giochi dei birilli [NdT].
  • 20. Tale parola, più precisamente «z polski», significa «polacco». In realtà, «(sono) polacco» si dice anche: «(jestem) polakiem» [NdT].
  • 21. Trascrizione approssimativa di «Kameraden» (al plurale) e di «Kaputt»; frase che significa: molti commilitoni sono morti.
  • 22. Per colmare l’assenza degli alimenti di prima necessità, la popolazione ha fatto spessissimo ricorso a dei «surrogati» che potessero sostituirli.
  • 23. Nel testo francese, l’autore apostrofa sprezzantemente i tedeschi con il termine «Frisés». In italiano, gli abbiamo preferito il non meno dispregiativo e famoso «K artoffeln » (patate, da cui: mangiapatate) [NdT].
  • 24. L’espressione del 1947 «i verdegrigi», relativa all’uniforme verde tendente al grigio dei soldati tedeschi, è qui sostituita dalla circonlocuzione «gli ultimi padroni del settore».
  • 25. Considerata uno degli ultimi baluardi prima di Cherbourg, Montebourg assume per le truppe tedesche un’importanza considerevole. È per questo che molti battaglioni, come il 919mo, sono rinforzi inviati a difendere la cittadina.
  • 26. Inizialmente nel testo del 1947: «[Con una voce] roca da contrabbasso, per sapere quello che gli passava per la testa».
  • 27. Espressione usata per indicare gli aerei da ricognizione alleati.
  • 28. Trascrizione approssimativa per «Nicht Gut», ovvero: «Per niente buona la guerra!»
  • 29. La voce sui prigionieri di guerra ammanettati trova le sue radici nel raid di Dieppe del 19 agosto 1942 in cui sono impegnati circa 4.700 canadesi e in cui molti di loro sono fatti prigionieri. Per rappresaglia all’esecuzione di un soldato tedesco, in seguito ad un tentativo di colpo di mano su Sercq nell’ottobre 1942, le autorità tedesche ordinano di legare le mani ai 1.376 canadesi catturati a Dieppe. Il governo canadese, informato di tale misura, decide di far subire lo stesso trattamento ad un medesimo numero di tedeschi, detenuti in Canada nei campi di prigionia. Questo provvedimento resta in vigore in Canada fino al 12 dicembre 1942. Per quanto riguarda i prigionieri canadesi, essi resteranno ammanettati fino al 22 novembre 1943. È quindi con uno spirito di rivalsa che, nel giugno del 1944, quasi due anni dopo lo smacco di Dieppe, le truppe canadesi sbarcano in Normandia. A questo primo motivo, si aggiunge una seconda voce che circola tra le truppe dell’esercito del Reich: alcuni indiani d’America, reclutati dall’esercito canadese, toglierebbero lo scalpo ai soldati tedeschi. Da ciò deriva la paura suscitata dal soldato canadese, la paura della sua rivincita.
  • 30. La locuzione avverbiale «in sordina» rimpiazza qui l’espressione del 1947: «piano tra le labbra».
  • 31. Nel racconto del 1947, al posto dell’avverbio «parecchio», abbiamo il gruppo nominale molto più espressivo «la forca».
  • 32. L ’appellativo dispregiativo «crucco», utilizzato dagli italiani durante la Seconda Guerra Mondiale per designare i tedeschi, in origine indicava gli slavi, poiché deriva dalla voce serbo-croata « kruh » che significa «pane». Tale termine è un possibile equivalente del francese «boche», qui impiegato dal narratore [NdT].
  • 33. «Vacher» in francese significa: vaccaio, mandriano, guardiano di vacche [NdT].
  • 34. Gli aerei in questione erano dei caccia Draken, di produzione svedese. La parola «Draken» significa drago e aquilone; in effetti, questi aerei erano draghi sotto il profilo della potenza e aquiloni sotto quello della forma e della leggerezza. Per questo motivo il narratore li chiama con il loro epiteto più noto («cerfs-volants», aquiloni), mentre in Italia, per indicarli, si utilizza il solo termine straniero Draken [NdT].
Numero di catalogo:
  • Numéro: TE114
  • Lieu: Mémorial de Caen
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