uri:/?q=it/node/3870 filename=index.html@q=it%2Fnode%2F3870.html page=node/3870 Ricordi di un partigiano | Mémoires de guerre

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Ricordi di un partigiano

Autore: 
CANACCINI Donato

Avvertenza

Quest’intervista a Donato Canaccini, nato il 18 maggio del 1923 a Bibbiena e scomparso il 5 agosto 2010, è il frutto di vari incontri che hanno avuto luogo nell’ottobre del 2009.

Abbiamo chiesto a Donato Canaccini di raccontarci la sua esperienza di partigiano. All’inizio si è mostrato un po’ restio a parlare e molte volte, in merito a episodi particolarmente drammatici e significativi, ha preferito sorvolare o rimanere in silenzio.

Arezzo fu tra le province più colpite dalla guerra nell’intera regione Toscana e la città stessa subì dodici incursioni aeree e le abitazioni rimaste in piedi erano talvolta pericolanti, malsicure. Gli altri comuni della provincia furono anch’essi fortemente colpiti: Subbiano, Castelfocognano, Pratovecchio, Stia, Sansepolcro, Levane. La campagna si era sovrappopolata, disastrosa appariva la situazione alimentare e dei trasporti nonché quella economica.

Donato Canaccini, con il suo racconto, ci porta a conoscenza della propria esperienza di guerra e della vita di un giovane ventenne di allora.

Queste pagine sono la trascrizione delle registrazioni anche se si sono rese necessarie alcune correzioni linguistiche per agevolare la lettura e la traduzione. Le registrazioni sono ora depositate presso l’Istituto Storico della Resistenza e dell’età contemporanea di Arezzo.

La lotta di Liberazione in Casentino

Il Casentino divenne luogo di lotta antifascista e qui si formarono gruppi di clandestini. A Poppi e a Stia1Furono coinvolte località del Casentino come Poppi, Stia, Bibbiena, Strada, Subbiano, Faltona, Partina, Raggiolo, Talla, Badia Prataglia, Santa Maria in Carda, Fonte Cavallari, Vallucciole, Badia Santa Trinita. gente comune formò Comitati di azione antifascista2 Alla fine del mese di settembre 1943, ad Arezzo, in casa Bottarelli, si svolse una riunione di antifascisti aretini per la costituzione del Comitato Provinciale di Concentrazione Antifascista (CPCA). La riunione fu presieduta dall’avvocato Sante Tani e vi presero parte ventinove persone, tra queste Aldo Verdelli, Pio Borri, Umberto Mugnai, Camillo Chiappino, Antonio Mengo, Eliseo Brocherel, Angiolino Bruschi e Fortunato Fabbroni. Fu costituita una cassa associata, fu deciso come primo provvedimento di recarsi dal Prefetto di Arezzo al fine di assumere i poteri locali. Come programma immediato, si decise di aiutare e mettere in salvo gli evasi dai campi di concentramento di Laterina e Renicci, di nascondere soldati e prigionieri alleati di tutta la provincia per poi smistarli al Sud o a Roma, presso la Città del Vaticano e nella zona del Falterona, protetti dalle popolazioni locali. Ma ben presto il CPCA assunse il ruolo di organizzatore della Resistenza con funzioni di collegamento con gli altri centri toscani e italiani di opposizione al Fascismo, lotta armata e sostegno delle bande partigiane.; esempio ne fu proprio Poppi, dove nella caserma dei carabinieri del paese, nel settembre del 1943, il maresciallo dei carabinieri e altre due persone diedero inizio alla lotta nazifascista.

A Poppi c’era anche un campo di concentramento dove erano tenuti prigionieri dei greci.

Cercavamo in tutti i modi di trovare armi, munizioni o altro materiale che fosse utile alla lotta e alla sopravvivenza.

In tutto il Casentino era radicata una forte tradizione antifascista che era avvalorata dalla posizione strategica del luogo e per questo fu interessato dagli eventi bellici più di altri luoghi della provincia. Fummo in molti a prendere parte alla lotta partigiana qui a Bibbiena.

Dopo l’annuncio di Badoglio dell’Armistizio alla radio, in tutto il Casentino iniziarono a circolare volantini dove era riportato il discorso del comandante3Cioè del maresciallo Badoglio.. Quelle parole gettarono inquietudine nella popolazione.

È da Poppi che le azioni si allargarono negli altri comuni del Casentino, a Bibbiena, a Strada e nel basso Casentino come a Subbiano.

Noi giovani eravamo presi dall’entusiasmo, dalla voglia di cambiare le cose e già eravamo convinti di assaporare la libertà che da troppo tempo ci era stata tolta in tutte le azioni quotidiane, anche nelle più semplici. Con il passare dei giorni e dei mesi, credevamo che la guerra andasse a terminare4Ovvero: fosse sul punto di finire. ma non fu così; infatti, le difficoltà andarono ad aumentare perché in autunno il fascismo e i fascisti ripresero a comandare; nulla era cambiato dopo l’annuncio fatto da Badoglio.

Dopo vari incontri per organizzare la lotta armata, il compito di organizzare militarmente la zona del Casentino fu dato al tenente Sacconi. Iniziammo a stampare materiale di propaganda antifascista che veniva distribuito alla gente “normale”5Con “normale” si indica la popolazione civile. in modo clandestino.

Nei primi giorni di ottobre, se non ricordo male, il gruppo dei partigiani casentinesi allargò il suo raggio d’azione tramite persone insospettabili come medici, avvocati e personale dell’esercito. In una riunione fu deciso di trasformare il comitato di azione antifascista in Comitato di Liberazione Nazionale, come stava accadendo in altri centri della provincia di Arezzo. Fu deciso che il comitato di Liberazione avrebbe dovuto dare assistenza agli ex prigionieri alleati e favorire la costituzione di formazioni partigiane. Mi ricordo che un ruolo determinante per l’aiuto ai prigionieri stranieri fu dato da un uomo di nazionalità greca che parlava più lingue. Il suo intervento fu essenziale per farci capire dagli inglesi. Noi conoscevamo poco anche l’italiano!

C’era la disperata ricerca di armi. In quei giorni le bande che lottavano per la liberazione riuscirono a prelevare pistole, fucili e mitragliette da un deposito e le caricarono in due automezzi; questi ultimi furono fermati dai tedeschi e il materiale fu sequestrato.

Il passaggio del fronte, quando arrivarono gli inglesi ad Arezzo, non fu doloroso e neppure ci furono perdite di vite umane. Passammo il fronte scalzi con le piglie6Termine dialettale per indicare il riccio della castagna. di castagno ai piedi, se ci penso ancora mi brucia tutta la pianta del piede.

Attraversato il fronte andammo con gli inglesi. Li accompagnavamo dove eravamo sicuri che non ci fossero postazioni tedesche. In precedenza avevamo tenuto sotto controllo la zona del Casentino e quella del Pratomagno.

Eravamo a conoscenza di dove fossero le postazioni tedesche perché eravamo in mezzo a loro anche se non ci facevamo notare.

Per giorni, prima di unirci agli inglesi, eravamo andati in giro per perlustrare gran parte del Casentino e per avere conferma delle notizie che avevamo ricevuto.

Mi ricordo che mi impossessai di una pistola che non aveva neanche il cane, mi fu data e la presi senza esitare neanche un momento.

Negli ultimi mesi ci furono fatti un paio di lanci di armi dagli alleati a Faltona, dove ci buttarono delle mitragliette, altrimenti utilizzavamo armi che erano nelle case o che ci erano date dalla gente comune, sapendo che potevano esserci utili per la difesa.

La posizione geografica di confine del Casentino con la provincia di Firenze rese facili le comunicazioni con il capoluogo toscano, da dove giungevano materiali di propaganda antifascista e “stampa”7Giornali. che tenevano informati i combattenti alla “macchia”8Termine che indica uomini armati nascosti nei boschi..

C’erano personaggi importanti di Bibbiena che prestavano biciclette, moto, auto. Le donne ci davano da mangiare e c’era chi prestava cure a noi che non avevamo niente. Forse lo facevano per le raccomandazioni ricevute dai nostri genitori che, non avendo notizie dei propri figli (non sapevano neppure se eravamo vivi o morti) per interi mesi, chiedevano notizie a persone di fiducia delle quali erano sicuri e che non avrebbero fatto spiate ai tedeschi che andavano ad interrogarle.

Le nostre famiglie erano tenute d’occhio dai nazifascisti.

La “ripulitura” della zona del Casentino fu affidata alla Divisione Hermann Göring che iniziò le operazioni di smantellamento sia nei confronti dei partigiani che di coloro che erano sospettati di aiutarli. Uno dei rastrellamenti che mi ricordo è quello di Partina, dove un gruppo di civili era impegnato a svuotare il mulino del paese.

A Partina le SS, se non ricordo male nell’aprile del 1944, fecero un assalto al paese. I tedeschi sembravano impazziti, come dominati dalla follia; entrarono nelle case sfondando le porte, portarono via quello che potevano, cibo, soldi, cose di valore. Tutti gli uomini furono raggruppati, alcuni per fortuna riuscirono a scappare, mentre i meno fortunati furono fucilati senza alcun motivo; nessuno aveva reagito o si era opposto ai comandi che venivano dati dai tedeschi. Non bastò questo, la ferocia continuò. Dopo che gran parte degli uomini di Partina furono uccisi, le salme furono cosparse di benzina e gli9Uso dialettale del pronome indiretto gli che qui rimpiazza il plurale loro. fu dato fuoco; ancora se ci penso mi ricordo le urla delle donne e l’odore acre! Alcuni giovani, presi dalla paura di morire, si schierarono dalla parte delle SS, erano disposti ad aiutare i tedeschi e a lavorare per loro. Questo però non bastò alle SS che massacrarono a colpi di mitraglietta anche questi. Il bilancio della perlustrazione di Partina fu di ventinove vittime.

Nel settembre del 1944 i nazisti fucilarono il parroco del paese, accusato di collaborazionismo con gli Alleati.

Il Casentino fu liberato definitivamente solo alla fine di settembre.

Mi ricordo che i contadini e gli abitanti della montagna avevano perso quasi tutto: pentole, piatti, vestiti, il bestiame, gli attrezzi utilizzati per i lavori nei campi e le macchine che, dopo il passaggio dei tedeschi, erano rimaste incustodite e abbandonate.

Nei giorni seguenti la Liberazione coloro che tornarono nelle case le trovarono distrutte o saccheggiate. Mi ricordo che in tutto il Casentino ci furono molte vittime e molti furono anche i danni agli edifici privati e pubblici e alle industrie della zona che davano da mangiare a molte persone.

Gli stabilimenti industriali presenti nel territorio erano stati occupati dai soldati, i macchinari erano stati danneggiati oppure saccheggiati, perciò non fu possibile riprendere le normali attività e quindi la gente si dava da fare come poteva per portare qualcosa a casa.

La linea ferroviaria era interrotta, non c’erano né acqua né luce elettrica.

Ricordo di Licio Nencetti 10Nato a Lucignano, il 31/3/1926; morto a Talla, il 26/5/1944.

A Licio Nencetti, allora diciottenne, fu dato l’ordine di recarsi in Pratomagno per parlare con un ex partigiano di Raggiolo. Quest’ultimo aveva informato dell’incontro i fascisti. Licio, quando giunse nel luogo dell’incontro, fu preso alla sprovvista e fu accerchiato e tenuto sotto tiro dai fascisti, non gli rimase altro che arrendersi. Fu bloccato, ammanettato e portato a Poppi dove fu interrogato e sottoposto a torture.

Le voci che giravano per il paese, e che giunsero anche a noi, che eravamo nascosti nei boschi in capanne o in case di contadini, è che non disse una parola, non si lasciò intimidire né dalle minacce né dal dolore. Fu trasferito a Talla dove fu fucilato.

Mi ricordo che le case di chi aiutava i partigiani venivano [le persone] perseguitate e in alcuni casi [le abitazioni] anche bruciate. Alcuni civili, sospettati di aiutare i partigiani, vennero cosparsi di benzina e bruciati vivi.

Per fermare l’esecuzione di Licio intervenne, ma inutilmente, il parroco di Talla che cercò di persuadere il comandante del plotone d’esecuzione. La squadra di soldati che doveva colpire a morte Licio era formata da giovani repubblichini11 La Repubblica Sociale Italiana (RSI), fondata in piena Seconda Guerra mondiale col nome di Stato Nazionale Repubblicano ma più semplicemente nota come Repubblica di Salò, fu uno Stato dell’Europa meridionale creato da Benito Mussolini per espressa volontà di Adolf Hitler dopo che il Regno d’Italia aveva, il 3 settembre di quell’anno, concluso l’armistizio di Cassibile con le forze anglo-americane. , mi ricordo che alcuni non avevano neppure quindici anni!

Furono sparati molti colpi anche dopo che cadde a terra privo di vita.

Io assistetti all’esecuzione senza poter far nulla, sarebbe stata la fine anche per me. La rabbia, la sconfitta, la desolazione mi presero. Alzai il capo, un ragazzo che avrà avuto dieci, dodici anni, Marcellino Baldi, questo era il suo nome, ebbe paura degli spari e scappò; il plotone d’esecuzione sparò anche a lui; figuriamoci cosa mi sarebbe accaduto solo se mi fossi mosso!

Nella compagnia di Licio Nencetti c’erano diversi casentinesi tra cui anche l’onorevole Mauro Ferri e Don Carlo, il parroco di Badia Prataglia. All’interno della compagnia facevo l’approvvigionatore, vale a dire andavo a cercare il cibo. Devo dire che era un ruolo che non ricoprivo molto bene: infatti ci trovavamo a mangiare, quasi sempre, castagne secche.

L’unico momento che fu triste veramente fu alla ritirata dei tedeschi da quest’Appennino; ci fu uno scontro con la Resistenza sulla via della Crocina che da Talla va in Valdarno e lì la lotta fu veramente impressionante; molte persone furono uccise e tante altre rimasero ferite.

Quando fucilarono Licio Nencetti io mi trovavo a poca distanza, ero in un casolare, Casa Godino12I casolari di campagna e di montagna prendevano il nome della famiglia che li abitava., sopra Talla. Con un mio compagno eravamo usciti per andare a prendere le sigarette. Sentimmo degli spari. Impauriti ci dirigemmo di corsa verso la piazza del paese e trovammo Licio davanti al plotone d’esecuzione.

Al momento dell’uccisione di Licio Nencetti, il grosso della nostra compagnia era a Fonte Cavallari vicino alla Badia Santa Trinita.

Mi ricordo come fosse ora che Licio ci disse che aveva un appuntamento in Pratomagno con la divisione Potente13 Aligi Barducci detto Potente (Firenze, 10 maggio 1913 – Greve in Chianti, 9 agosto 1944) è stato un militare e partigiano italiano. Fu un eroe della Resistenza toscana, protagonista di numerose azioni tra cui la liberazione di Firenze nell’agosto del 1944. e io gli dissi: «ma cosa vogliono!» Licio mi rispose che avrebbero deciso sul come organizzarsi per continuare la lotta partigiana contro il nemico nazifascista. Cercammo di convincerlo a non andare da solo ma lui, che era un testardo, prese e se ne andò per dirigersi verso il luogo dell’appuntamento. Prima di giungere all’appuntamento, che era un tranello, i tedeschi lo presero e dopo cinque giorni lo fucilarono, come ho già raccontato.

Il reparto comandato da Licio Nencetti era la Compagnia Volante di cui io facevo parte. Tra i mesi di gennaio e febbraio 1944 la nostra attività contro i nazifascisti si intensificò specialmente nelle zone alte della montagna e dove la vegetazione era più fitta. Tra il marzo e l’aprile, vista la nostra attività, i reparti repubblichini e tedeschi cominciarono a setacciare più insistentemente il Casentino e il Pratomagno in cui noi partigiani eravamo organizzati e stavamo facendo un buon lavoro anche con l’aiuto della popolazione.

Licio era una bravissima persona, all’epoca era troppo giovane e troppo impulsivo, anche quando lo chiamarono all’appuntamento in Pratomagno lui si fece prendere dall’entusiasmo. Cercammo di persuaderlo ma lui era troppo azzardoso. Io non ci sarei andato, allora si faceva a fucilate, non si scherzava mica. Andare all’appuntamento in Pratomagno in due sole persone non era cosa da fare visto il momento che stavamo attraversando e il numero di tedeschi che erano sparsi in tutto il Casentino.

Le fughe

La compagnia Volante era formata da ragazzi tra i 16 e i 30 anni. Non ci conoscevamo. Mi ritrovai con Licio Nencetti perché alla terza visita militare, che era presieduta dalla commissione tedesca che per due volte mi reputò rivedibile14Rivedibile, ovvero considerato temporaneamente inabile al servizio militare e rimandato a una leva successiva., [tale commissione] mi prese e mi mandò a Modena15 Ricostruzione cronologia degli eventi narrati: nell’estate del 1943 Donato Canaccini ha 20 anni e resta due mesi a Modena; lo mandano in punizione a Pesaro quando è già passato l’8 settembre; intraprende però quasi subito la fuga che lo porta da Pesaro nell’Appennino toscano, qui a fine settembre/inizio ottobre il giovane entra nella Resistenza..

Da mangiare non ce n’era; se non avevo qualche soldo in tasca non ce l’avrei fatta. Uscivo dalla caserma di Modena e lì vicino c’era un fruttivendolo da cui mi recavo per comprare un paio di fette di castagnaccio16Dolce di farina di castagne con pinoli, olio d’oliva e rosmarino, detto anche Baldino. perché altrimenti non riuscivamo a cavarci la fame con quello che ci davano in caserma. Ero fortunato perché qualche soldo in tasca lo avevo, il mio babbo provvedeva a farmi arrivare qualche lira; altri che non avevano disponibilità monetaria facevano la fame, si deperivano, si ammalavano o, se fortunati, trovavano qualche famiglia che gli dava il pane raffermo, frutta andata male o gli avanzi, non si buttava via niente.

Tentai di scappare perché non ce la facevo a sopportare tutto quello! Me ne andai a Firenze ma i soldati mi ripresero e mi rimandarono a Modena.

Da lì, dopo due mesi, ci fu il giuramento. Durante la cerimonia ci facevano firmare; che discorso è firmare, e per forza! In sette o otto persone quel giorno ci rifiutammo di apportare17Ovvero: apporre. la firma. Ci riportarono in caserma e ci misero in isolamento. La notte stessa ci portarono alla ferrovia e ci misero in un carro bestiame, il treno partì. Non sapevamo se andavamo verso nord o verso sud. La mattina dopo ci accorgemmo di essere stati scaricati a Pesaro18Cittadina a sud di Rimini, nella regione delle Marche, situata sulla costa adriatica. dove c’erano tutti gli ufficiali dell’8 settembre19L’8 settembre del 1943 il maresciallo Badoglio con un messaggio radiofonico annunciò l’Armistizio. L’annuncio colse impreparate le truppe e le forze armate italiane si trovarono prive di direttive.. Chiedemmo cosa ci sarebbe successo e ci fu risposto che ci saremmo accorti di come sarebbe stata la nostra vita da allora in poi e cosa ci avrebbe aspettato, visto che ci eravamo rifiutati di firmare.

Ci dettero a chi la paletta, a chi il piccone, a chi la carretta20Termine dialettale per indicare la carriola. e ci portarono a fare gli sbarramenti nelle strade, già avviati per impedire gli sbarchi [anglo-americani]. Da lì ebbi fortuna perché il maresciallo che ci sorvegliava mentre lavoravamo era uno a cui piaceva bere. Ci entrai in confidenza dicendogli che sarei stato io a trovargli gli alcolici. Avevo fatto amicizia con un contadino della zona da cui poi mi sarei servito per rifornire il maresciallo. Un giorno presi un barilino21Piccolo barile usato per conservare il vino. di buon vino e glielo portai. Per tre mattine di fila gli portai del vino, la quarta mattina buttai via il barilino e mi incamminai verso casa per far ritorno in Casentino. La mattina successiva i carabinieri si misero subito alla mia ricerca. Vennero a cercarmi a casa dove ero arrivato da poco. Dalla paura saltai dalla finestra della cucina e scappai nel bosco. Il mio babbo, poco dopo, mi portò dei vestiti per coprirmi meglio e mi condusse a Santa Maria in Carda dove c’era una persona che conoscevamo e che mi avrebbe aiutato a nascondermi.

Da lì, dopo quindici giorni, cominciarono a venir su i fascisti di Rassina e dissi al mio babbo che se avessimo continuato così avremmo compromesso la nostra famiglia perché, se fossero venuti a Santa Maria in Carda e avessero sospettato che dopo la fuga mi ero nascosto lì, che militavo fra i partigiani e che la mia famiglia mi aveva aiutato, sarebbe successa una strage. Nessuno di noi sarebbe sopravvissuto, né mia madre, né mio padre e neppure le mie due sorelle.

Andai da Licio e gli raccontai la mia storia e lui mi accolse nella sua compagnia senza fare altre domande.

Mi aveva parlato di lui e della banda un mio compaesano che aveva saputo che ero scappato perché non volevo prestare servizio militare.

Quando fui chiamato a firmare avevo 20 anni. Chi quel giorno decise di firmare fu mandato in Sardegna e dei ragazzi, che erano con me a Modena, non ne tornò neppure uno. Non avevamo paura perché non sapevamo niente di cosa ci sarebbe potuto accadere.

Decisi di non firmare perché a me le cose imposte non piacciono e poi non ci sono per i militari e neppure per la vita militare.

A Fonte Cavallari si dormiva un po’ nei capanni, da persone che ci davano aiuto. Qui abitava un uomo che aveva moglie e due bambini piccoli. Aveva molti capanni; ci ospitava infatti quando si faceva sera, con il buio, andavamo lì per riposare.

Quando eravamo in giro dormivamo dentro i burroni, all’aperto, dove capitava. Era una vita non bella ma d’altra parte era così e nessuno ci poteva fare nulla.

Prima che smantellassero la Linea Gotica22 La Linea Gotica fu la linea difensiva istituita dal feldmaresciallo tedesco Albert Kesserling nel 1944, nel tentativo di rallentare l’avanzata verso il Nord d’Italia dell’esercito alleato comandato dal generale Harold Alexander. La linea difensiva si estendeva dalla provincia detta allora di Apuania (poi ribattezzata dal 1946 Massa-Carrara) fino alla costa adriatica di Pesaro, seguendo un fronte di oltre 300 chilometri sui rilievi delle Alpi Apuane, proseguendo verso est lungo le colline della Garfagnana, sui monti dell’Appennino modenese, dell’Appennino bolognese, dell’alta valle dell’Arno e di quella del Tevere, per finire poi sul versante adriatico negli approntamenti difensivi tra Rimini e Pesaro., mi ripresero i tedeschi un’altra volta al Molino di Faltona. Lì eravamo in tre ed eravamo andati a dormire sotto un masso nel fiume, era un masso in cui potevamo nasconderci e ripararci; si entrava da una parte e potevamo uscire dall’altra attraversando il fiume insomma, era un grosso sasso con entrata e uscita.

Una mattina, sicuramente a seguito di una spiata, sentimmo dei passi e ci impaurimmo chiedendoci cosa potesse essere quel rumore. Feci capolino, mi sentii toccare, mi girai e vidi una canna di fucile che mi era stata puntata alla testa.

Ci portarono a Massa Carrara, era il momento in cui prendevano prigionieri per mandarli nei campi di concentramento e di sterminio.

Da lì fui spostato a Forlì alla Caserma Romanello, mi ricordo come se fosse ora. A Forlì, per fortuna, nella vita ci vuole anche fortuna altrimenti io avrei dovuto essere morto mille volte, trovai un militare graduato che stava vicino a casa mia. Faceva parte della celere, era un fascista. Quando mi vide rimase colpito. Io, vista la sua espressione, chiesi cosa mi sarebbe successo e mi fu risposto che dopo la visita medica, se non c’erano malattie infettive o particolari menomazioni fisiche, mi sarebbe stata data la fascia gialla e sarei stato mandato in Germania nei campi adibiti ai lavori forzati. Mi spaventai moltissimo e gli chiesi aiuto. Lui si impietosì e mi disse che il dottore che mi avrebbe visitato era un capitano medico polacco che conosceva bene.

Il mio compaesano mi disse che si sarebbe informato e mi avrebbe fatto sapere. Dopo circa un quarto d’ora tornò dicendomi che aveva parlato con il medico polacco e che mi avrebbe fatto un certificato falso che avrebbe attestato che avevo una grave malattia infettiva, così mi avrebbero mandato via subito.

Mi sentii sollevato e lo ringraziai per quello che stava facendo per me. Non solo mi aiutò per avere il certificato ma disse che lì vicino c’era una donna, la Gigolè, che era la compagna del colonnello che comandava la piazza23Termine per indicare la caserma., che sarebbero andati a Vallucciole24Paese dell’Alto Casentino famoso per la strage perpetrata dalle truppe nazifasciste. A Vallucciole fu ucciso Pio Borri, prima vittima della Resistenza aretina. Il 12 aprile 1944 militari tedeschi in borghese si recarono al Mulino di Bucchio per esplorare la zona. Questi si scontrarono con un gruppo di partigiani. Il giorno successivo le truppe tedesche accerchiarono le piccole borgate e le case della zona. Gli uomini furono raggruppati e mandati a trasportare al monte Falterona casse di munizioni e gli oggetti portati via alle famiglie del luogo. I vecchi, le donne e i bambini furono fatti uscire dalle case, poi riuniti e, come gli uomini, uccisi con scariche di mitraglietta e con il lancio di bombe a mano. Furono uccisi 108 civili. e che mi avrebbero portato loro.

Per la paura non aspettai il loro passaggio in auto, appena ebbi il foglio in mano me ne andai. Dormii in Campigna25Territorio di confine tra la Toscana e l’Emilia Romagna. sotto un abete, da solo, con il freddo. La mattina arrivai a casa ma i miei genitori e le mie sorelle non c’erano più, erano sfollati. Tornai su nei monti a cercare Licio.

Anche fra i tedeschi c’erano i buoni e i cattivi. I peggiori erano i soldati che facevano parte delle SS, erano tremendi. Non si fermavano di fronte a nulla. Gli altri, qualcheduno, era brava gente, erano come noi, si erano ritrovati in una guerra per caso senza sapere per chi o [per] cosa combattessero.

Il cibo lo cercavamo da tutte le parti, qualcuno che aveva il pane ce ne dava un pezzo, alcuni ci davano pane nero di tritello26Pane fatto con gli scarti della farina. e lo facevano per irritarci. Ci arrangiavamo come potevamo, mangiavamo tanta polenta dolce27La polenta dolce è quella fatta con la farina di castagne..

Dopo la morte di Licio ci disorientammo un po’ e passammo il fronte, per questo noi non abbiamo vissuto la Liberazione di Arezzo28Licio Nencetti è fucilato il 26 maggio 1944; Arezzo sarà liberata quasi due mesi dopo, il 16 luglio. Firenze e Bibbiena saranno liberate il mese seguente, l’11 agosto il capoluogo regionale e il 28 la cittadina casentinese.. Quando gli Alleati erano ad Arezzo cercammo di passare il fronte dal di sotto per raggiungerli. Passammo il fronte senza aver problemi, a piccoli gruppi, e non fummo notati.

Quando fu liberata Bibbiena, non c’ero più. Mi ricordo dei ragazzi che erano qui [a Bibbiena], come Salvatore Secchioni, che facevano parte della banda di Lello Sacconi e adesso non ci sono più.

La guerra vera la facemmo noi. I ragazzi che erano qui nel luogo erano più fortunati perché erano nelle zone vicino alle loro famiglie. Quelli come me erano allo sbando; dormire all’aperto, sempre a piedi a fare a fucilate a destra e a sinistra! Lo sa le volte che ho sentito le pallottole fischiare intorno alle orecchie? Non si contano!

Il campo di Laterina

Abbiamo fatto tante azioni. Una delle più importanti è stata quella nella quale abbiamo liberato il campo [di prigionia] che era a Laterina29Comune del basso Valdarno vicino ad Arezzo. Nel settembre 1943 è un campo di prigionieri.. Andammo giù e aprimmo i cancelli, facemmo scappare tutti, non mancarono le fucilate. Nel campo c’erano tutti i deportati politici, militari. I tedeschi facevano così, razziavano ogni cosa, poi mandavano in Germania.

A Laterina agimmo da soli. Eravamo quindici ragazzi molto giovani, mi ricordo che avevo il pinzo30Termine vernacolare per «pizzo»., perché non mi riconoscessero me lo tagliai con il coltello, ancora se ci penso mi fa male.

A Laterina c’erano molti prigionieri, il campo era recintato con il filo spinato e c’era qualche garitta31Posto di sorveglianza. sparsa da dove i soldati tedeschi controllavano.

Le armi per fare l’azione le prendemmo a Poppi ma molte le portammo da casa. Io chiesi al mio babbo di portarmi il fucile di casa quando ancora ero a Santa Maria in Carda. Lui mi disse che avevano fucilato mio zio perché gli avevano trovato un fucile in casa. Allora non me lo volle dare e mi toccò arrangiarmi da solo per trovarne uno.

Eravamo impreparati, queste le sue parole, alla notizia dell’Armistizio. Cercammo, quando ci fu lo sbandamento dell’esercito, di trovare munizioni e armi ma i nostri sforzi furono insufficienti.

Alcuni di noi si recarono al campo di aviazione, bruciarono tre aerei e portarono via le armi. Si erano preparati, avevano il cavallo e, con il calesse, le caricarono e le portarono in un luogo segreto, in una grotta poco fuori Arezzo; poi che fine fecero quelle armi non lo so, ma ci sono voci che dicono che furono date agli inglesi.

Noi assistevamo anche i prigionieri inglesi che riuscivano a scappare dai campi di concentramento di Laterina e di Renicci32Campo di concentramento nel comune di Anghiari che si trova in Valtiberina..

Questi soldati quando scappavano venivano su in montagna e trovavano la nostra assistenza. Noi davamo le indicazioni affinché riuscissero a raggiungere il loro esercito che si trovava a sud di Arezzo. Questa fu la nostra assistenza nei primi tempi.

Il Campo di Laterina fu campo di concentramento, poi campo di prigionia e infine centro di raccolta profughi. Negli anni in cui noi combattevamo per la liberazione, prima divenne un campo di concentramento per prigionieri di guerra, poi campo profughi.

Il campo era registrato con il numero 82, fu progettato per accogliere i prigionieri di guerra degli eserciti nemici. Si trovava tra la via Vecchia Aretina e l’Arno ed era molto grande per estensione. Se non mi ricordo male, c’erano dodici baracche in muratura allineate in due blocchi, divise internamente in due ambienti con la sistemazione di giacigli a castello. Nei primi anni Quaranta accolse prigionieri di guerra soprattutto inglesi, oltre ad africani, indiani e spagnoli. C’erano tantissimi militari italiani impegnati nella sorveglianza del campo perché poteva contenere un numero elevatissimo di prigionieri. Quando l’8 settembre 1943 con un messaggio radiofonico Badoglio diede notizia dell’Armistizio, il campo venne abbandonato dai militari italiani di sorveglianza e noi ne approfittammo per liberare i detenuti. I prigionieri evasero dirigendosi verso l’Italia del Sud, nel tentativo di ricongiungersi agli alleati, qualcuno verso l’Emilia Romagna oppure furono avviati alle formazioni partigiane e sempre aiutati dalla popolazione locale. Se sfortunati e ripresi dall’esercito nazista, vennero di nuovo portati nel campo ed in seguito deportati in Germania.

Mi sembra che nel 1944, alla fine della guerra [nell’aretino], la zona fu liberata ed il campo passò sotto il controllo dell’VIII Armata Britannica, che ci imprigionò fascisti e tedeschi catturati al Nord dagli inglesi. Il campo raccolta internati di Laterina fu poi gestito dal Ministero dell’Assistenza postbellica. In quel periodo molti prigionieri fascisti vennero liberati.

Le condizioni degli internati erano al limite della sopravvivenza.

Mi ricordo come fosse ora che quando riuscimmo a far scappare i prigionieri dal campo, feci amicizia con uno di loro che mi raccontò come era la vita all’interno. Ogni famiglia aveva nella baracca una stanza, separata dalle altre da coperte a modo di tende. Nel campo esistevano asilo e scuole elementari; per l’istruzione secondaria i ragazzi venivano inviati nelle scuole di Arezzo.

Mi raccontò che il campo aveva ospitato anche tremila prigionieri. Vi potete immaginare voi le condizioni igieniche e le malattie infettive che contraevano quelle povere anime lì dentro! Non avevano cibo, o se ne avevano erano patate, pane raffermo, minestra; certamente era meno del nostro! Ogni tanto arrivava un pacco della Croce Rossa internazionale, che conteneva cioccolata, caffè, tè, biscotti, uva secca, salmone, sigarette. Anche i familiari dei prigionieri potevano inviare ogni tre mesi un pacco. Ogni mattina, come nel periodo che sono stato in caserma, veniva fatto l’appello nello spazio all’aperto compreso fra la cucina e le baracche, che richiedeva alcune ore.

Poi i prigionieri dovevano provvedere ai bisogni quotidiani: chi era addetto alla pulizia del campo, chi pensava alla cucina, chi faceva il lavoro di barbiere, chi scavava latrine. I prigionieri addetti ai lavori nel campo avevano il doppio della razione di cibo. Gli altri prigionieri passavano la giornata o passeggiando attorno al perimetro del campo oppure giocavano a carte; avevano anche la possibilità di organizzare delle partite di calcio nello spazio usato per l’appello. La mia non è stata una vita facile ma anche la loro non è stata affatto semplice33Nei giorni seguenti la liberazione del campo alcuni prigionieri decisero di nascondersi nelle campagne intorno a Laterina, alcuni rimasero nascosti anche per dieci mesi fino all’arrivo degli Alleati. Tra i prigionieri che furono liberati, alcuni decisero di dirigersi a sud, altri entrarono nelle formazioni partigiane della zona. Altri prigionieri reputarono che fosse più sicuro rimanere nelle baracche, giacché credevano, a torto, che entro pochi giorni sarebbero giunti gli Alleati..

Nei dieci mesi di occupazione tedesca del campo, nel 1943, che divenne Campo prigionieri di guerra Dulag 132, il comando fu preso dal colonnello tedesco Linhart. Rimasero chiusi nel campo prigionieri inglesi, americani e italiani catturati durante l’avanzata del fronte. I tedeschi, a quanto mi ricordo, ripristinarono il campo adattandolo a loro: chiamarono a lavorarci, per apportare migliorie, alcuni operai di Laterina che non poterono rifiutarsi di andare a lavorare altrimenti sarebbero stati uccisi. I tedeschi, furbi, requisirono le ville vicino al campo e si stabilirono lì. In quel periodo all’interno del campo fu installato anche un autoparco e un’officina meccanica dove lavoravano dei civili sempre di Laterina. Poco tempo dopo l’arrivo dei tedeschi al campo, cominciarono le deportazioni dei prigionieri in Germania verso i campi di prigionia e di lavoro.

Dal Comandante Potente, che era a capo della Brigata Garibaldi34Le Brigate Garibaldi affermavano che la resistenza aretina si sarebbe meglio organizzata e militarizzata se avesse avuto un più convinto appoggio politico., sapemmo che Firenze era stata liberata. Ci aveva detto che sarebbero intervenuti, nel periodo in cui Licio Nencetti fu fucilato, quindi alla notizia noi eravamo un po’ tramortiti35Frase molto ellittica e confusa: Ci aveva detto, nel periodo in cui Licio Nencetti fu fucilato, che sarebbero intervenuti [a Firenze, ma] noi eravamo un po’ tramortiti [per la morte di Licio], quindi [non reagimmo subito] alla notizia [dello spostamento della Brigata Garibaldi verso Firenze]..

I ragazzi che erano con me[,] qualcuno aveva studiato e qualcuno no. C’erano anche due russi, prigionieri che erano scappati e si erano aggregati a noi, uno morì in uno scontro che avemmo con i tedeschi.

C’erano due o tre donne che erano nostre collaboratrici, ci aiutavano, più che altro ci informavano dei movimenti, una era di Talla, una di Capraia, erano donne contadine. Per gli spostamenti ci muovevamo a piedi e per quelli più lunghi utilizzavamo i cavalli.

Noi abbiamo combattuto perché era una necessità, non stavamo a pensare. Sergio, il russo, morì vicino a me, una fucilata gli squarciò il petto. Ogni cespuglio, i tedeschi tiravano una raffica di mitra. Per fortuna sono riuscito a salvarmi, ma ogni giorno ricordo i miei compagni più sfortunati.

  • 1. Furono coinvolte località del Casentino come Poppi, Stia, Bibbiena, Strada, Subbiano, Faltona, Partina, Raggiolo, Talla, Badia Prataglia, Santa Maria in Carda, Fonte Cavallari, Vallucciole, Badia Santa Trinita.
  • 2. Alla fine del mese di settembre 1943, ad Arezzo, in casa Bottarelli, si svolse una riunione di antifascisti aretini per la costituzione del Comitato Provinciale di Concentrazione Antifascista (CPCA). La riunione fu presieduta dall’avvocato Sante Tani e vi presero parte ventinove persone, tra queste Aldo Verdelli, Pio Borri, Umberto Mugnai, Camillo Chiappino, Antonio Mengo, Eliseo Brocherel, Angiolino Bruschi e Fortunato Fabbroni. Fu costituita una cassa associata, fu deciso come primo provvedimento di recarsi dal Prefetto di Arezzo al fine di assumere i poteri locali. Come programma immediato, si decise di aiutare e mettere in salvo gli evasi dai campi di concentramento di Laterina e Renicci, di nascondere soldati e prigionieri alleati di tutta la provincia per poi smistarli al Sud o a Roma, presso la Città del Vaticano e nella zona del Falterona, protetti dalle popolazioni locali. Ma ben presto il CPCA assunse il ruolo di organizzatore della Resistenza con funzioni di collegamento con gli altri centri toscani e italiani di opposizione al Fascismo, lotta armata e sostegno delle bande partigiane.
  • 3. Cioè del maresciallo Badoglio.
  • 4. Ovvero: fosse sul punto di finire.
  • 5. Con “normale” si indica la popolazione civile.
  • 6. Termine dialettale per indicare il riccio della castagna.
  • 7. Giornali.
  • 8. Termine che indica uomini armati nascosti nei boschi.
  • 9. Uso dialettale del pronome indiretto gli che qui rimpiazza il plurale loro.
  • 10. Nato a Lucignano, il 31/3/1926; morto a Talla, il 26/5/1944.
  • 11. La Repubblica Sociale Italiana (RSI), fondata in piena Seconda Guerra mondiale col nome di Stato Nazionale Repubblicano ma più semplicemente nota come Repubblica di Salò, fu uno Stato dell’Europa meridionale creato da Benito Mussolini per espressa volontà di Adolf Hitler dopo che il Regno d’Italia aveva, il 3 settembre di quell’anno, concluso l’armistizio di Cassibile con le forze anglo-americane.
  • 12. I casolari di campagna e di montagna prendevano il nome della famiglia che li abitava.
  • 13. Aligi Barducci detto Potente (Firenze, 10 maggio 1913Greve in Chianti, 9 agosto 1944) è stato un militare e partigiano italiano. Fu un eroe della Resistenza toscana, protagonista di numerose azioni tra cui la liberazione di Firenze nell’agosto del 1944.
  • 14. Rivedibile, ovvero considerato temporaneamente inabile al servizio militare e rimandato a una leva successiva.
  • 15. Ricostruzione cronologia degli eventi narrati: nell’estate del 1943 Donato Canaccini ha 20 anni e resta due mesi a Modena; lo mandano in punizione a Pesaro quando è già passato l’8 settembre; intraprende però quasi subito la fuga che lo porta da Pesaro nell’Appennino toscano, qui a fine settembre/inizio ottobre il giovane entra nella Resistenza.
  • 16. Dolce di farina di castagne con pinoli, olio d’oliva e rosmarino, detto anche Baldino.
  • 17. Ovvero: apporre.
  • 18. Cittadina a sud di Rimini, nella regione delle Marche, situata sulla costa adriatica.
  • 19. L’8 settembre del 1943 il maresciallo Badoglio con un messaggio radiofonico annunciò l’Armistizio. L’annuncio colse impreparate le truppe e le forze armate italiane si trovarono prive di direttive.
  • 20. Termine dialettale per indicare la carriola.
  • 21. Piccolo barile usato per conservare il vino.
  • 22. La Linea Gotica fu la linea difensiva istituita dal feldmaresciallo tedesco Albert Kesserling nel 1944, nel tentativo di rallentare l’avanzata verso il Nord d’Italia dell’esercito alleato comandato dal generale Harold Alexander. La linea difensiva si estendeva dalla provincia detta allora di Apuania (poi ribattezzata dal 1946 Massa-Carrara) fino alla costa adriatica di Pesaro, seguendo un fronte di oltre 300 chilometri sui rilievi delle Alpi Apuane, proseguendo verso est lungo le colline della Garfagnana, sui monti dell’Appennino modenese, dell’Appennino bolognese, dell’alta valle dell’Arno e di quella del Tevere, per finire poi sul versante adriatico negli approntamenti difensivi tra Rimini e Pesaro.
  • 23. Termine per indicare la caserma.
  • 24. Paese dell’Alto Casentino famoso per la strage perpetrata dalle truppe nazifasciste. A Vallucciole fu ucciso Pio Borri, prima vittima della Resistenza aretina. Il 12 aprile 1944 militari tedeschi in borghese si recarono al Mulino di Bucchio per esplorare la zona. Questi si scontrarono con un gruppo di partigiani. Il giorno successivo le truppe tedesche accerchiarono le piccole borgate e le case della zona. Gli uomini furono raggruppati e mandati a trasportare al monte Falterona casse di munizioni e gli oggetti portati via alle famiglie del luogo. I vecchi, le donne e i bambini furono fatti uscire dalle case, poi riuniti e, come gli uomini, uccisi con scariche di mitraglietta e con il lancio di bombe a mano. Furono uccisi 108 civili.
  • 25. Territorio di confine tra la Toscana e l’Emilia Romagna.
  • 26. Pane fatto con gli scarti della farina.
  • 27. La polenta dolce è quella fatta con la farina di castagne.
  • 28. Licio Nencetti è fucilato il 26 maggio 1944; Arezzo sarà liberata quasi due mesi dopo, il 16 luglio. Firenze e Bibbiena saranno liberate il mese seguente, l’11 agosto il capoluogo regionale e il 28 la cittadina casentinese.
  • 29. Comune del basso Valdarno vicino ad Arezzo. Nel settembre 1943 è un campo di prigionieri.
  • 30. Termine vernacolare per «pizzo».
  • 31. Posto di sorveglianza.
  • 32. Campo di concentramento nel comune di Anghiari che si trova in Valtiberina.
  • 33. Nei giorni seguenti la liberazione del campo alcuni prigionieri decisero di nascondersi nelle campagne intorno a Laterina, alcuni rimasero nascosti anche per dieci mesi fino all’arrivo degli Alleati. Tra i prigionieri che furono liberati, alcuni decisero di dirigersi a sud, altri entrarono nelle formazioni partigiane della zona. Altri prigionieri reputarono che fosse più sicuro rimanere nelle baracche, giacché credevano, a torto, che entro pochi giorni sarebbero giunti gli Alleati.
  • 34. Le Brigate Garibaldi affermavano che la resistenza aretina si sarebbe meglio organizzata e militarizzata se avesse avuto un più convinto appoggio politico.
  • 35. Frase molto ellittica e confusa: Ci aveva detto, nel periodo in cui Licio Nencetti fu fucilato, che sarebbero intervenuti [a Firenze, ma] noi eravamo un po’ tramortiti [per la morte di Licio], quindi [non reagimmo subito] alla notizia [dello spostamento della Brigata Garibaldi verso Firenze].
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