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Diario particolare

Autore : 
CIAMPELLI Tosca
Racconto raccolto da Patrizia Gabrielli
Edizione critica, presentazione e note di Patrizia Gabrielli

Tosca Ciampelli è nata a Badia Prataglia, provincia di Arezzo, nel 1924, ha conseguito la licenza elementare. Casalinga. Ha scritto le sue memorie tra il 1977 e il 1978, il testo manoscritto è giunto all’Archivio Diaristico Nazionale di Pieve Santo Stefano il 9 febbraio 1989.

Quelli furono gli ultimi giorni passati a Civita Castellana, perché si stava avvicinando l’otto Settembre 1943, che io chiamavo l’armistizio pazzo18 settembre 1943. Il maresciallo Pietro Badoglio con un messaggio radiofonico annuncia l’armistizio di Cassibile siglato segretamente il 3 settembre tra l’esercito italiano e quello alleato. L’armistizio colse impreparate e prive di direttive le forze armate italiane, mentre il Governo, il re, la corte e gli alti comandi fuggivano da Roma a Brindisi mettendosi sotto la protezione degli angloamericani. Quasi tutta la penisola cadde sotto la pronta occupazione tedesca, parte delle truppe fu fatta prigioniera e internata in Germania mentre il resto si sbandava o si disperdeva nel tentativo di rientrare alle proprie case. Parte di questi si unirono alla lotta partigiana..

Con la caduta del fascio ci fu lo sbandamento di tutti [i] soldati rimasti in Italia.

Tornavano a casa. Arrivavano da tutte le parti. Buttavano via la divisa, e quando passavano dalle case gli davamo qualche vestito borghese, ma avevano una gran paura.

Camminavano alle periferie dei paesi e[,] di sera, tutti li alloggiavano, affinché raggiungessero la propria abitazione.

Anche mio fratello Corrado tornò a casa come gli altri, però sentivano di non essere sicuri. Tutti cantavano così:

E quando comandavi a letto ci mandavi, e ora che si comanda a letto vi si manda 2Canzoncina popolare; il riferimento è a Benito Mussolini che, con la caduta del regime fascista, su ordine del re Vittorio Emanuele III, viene arrestato e inviato prima all’isola di Ponza, poi a Campo Imperatore in Abruzzo. Sarà in seguito liberato dalle forze armate tedesche il 12 settembre 1943 e fonderà la Repubblica Sociale Italiana con sede a Salò..

Erano tutti stufi dei fascisti che non [ne] potevano più, volavano dalle finestre tutti i quadri del duce, che molti avevano in casa e gli davano a fuoco3Segnaliamo l’uso dialettale del pronome indiretto «gli» per «loro» e l’interferenza tra le espressioni «mettere al fuoco» e «dare fuoco». Si tratta di un italiano regionale molto vicino al parlato..

Insomma a Badia P.4Badia Prataglia: paese situato nel Parco Nazionale delle Foreste Casentinesi. come in tutta Italia ci furono giorni molto allegri e di euforia.

Ho sempre in mente che dei soldati che passavano per andare a casa, la mia Mamma li fece dormire da noi, erano 6 giovani, e uno di questi aveva un particolare nel naso, che dopo finita la guerra l’ho riconosciuto trovandolo al mercato di Bibbiena5Bibbiena: comune del Casentino in provincia di Arezzo., con moglie e bambini, ci diceva sempre[:] mi avete salvato la vita a ospitarci, quando eravamo stanchi e affamati6Nel riportare il discorso diretto, la testimone non fa uso dei due punti introduttivi e non utilizza mai le virgolette: la differenza tra discorso diretto e discorso indiretto libero è quindi talvolta assai tenue. Per aumentare la leggibilità del testo, introdurremo il discorso diretto con i due punti tra parentesi quadre..

Però l’illusione di questo falso armistizio durò poco.

Così tornarono i tedeschi insieme con i fascisti, a rastrellare i paesi per cercare i partigiani.

Si sentivano le notizie alle poche Radio che c’erano in paese, erano grosse come un armadio.

Quando si accendeva ricordo sentivo dire «Commenti e fatti del giorno di Mario Apelius»7Si tratta di Mario Appelius, nato ad Arezzo nel 1892, radiocronista dell’EIAR noto per le sue affermazioni perentorie, l’adozione di toni aggressivi e «l’insulto farsesco»..

Mi è rimasto molto impresso questo nome, a me pareva molto buffo.

Comunque qualche cosa si imparava sempre, con la speranza che le cose andassero meglio, e invece si stavano aggravando sempre di più.

La notte passavano tanti aerei che buttavano i bengala e che illuminavano tutto il paese come se fosse di giorno. Allora la mia famiglia e qualche altro vicino si decisero a sfollare nel folto bosco in una località chiamata la buca delle fate.

C’era una grande pietra sopra una grotta, che tutti conoscevano in paese, qualche coraggioso prendeva un gomitolo di spago, e provava a calarvisi all’interno, senza però mai riuscire ad arrivare al fondo.

Noi ci rifugiammo lì all’inizio come le talpe ed ogni tanto giù dal paese arrivava il rumore dei bombardamenti.

Ogni tanto scendevamo a casa a prendere qualche vestiario, e vedevamo le buche, provocate dalle bombe, che erano grandissime. La sera si vedeva il nostro paese tutto illuminato dai bengala, e la paura cresceva sempre di più. Poi siamo tornati a casa perché nel bosco si stava troppo male.

Alcuni soldati più coraggiosi, invece di ritornare in guerra hanno formato le squadre di resistenza partigiana, e si sono dati alla fuga nei boschi.

Intanto il fronte di guerra si avvicinava sempre di più, ed i partigiani continuavano la loro lotta, aiutati anche da molte donne e civili di ogni genere, che portavano loro munizioni e viveri.

Molti che avevano paura a fare il partigiano, andavano a lavorare per i tedeschi sulla linea gotica8Linea Gotica è il nome dato alla linea difensiva Pesaro-Apuania, che tagliava in due parti la penisola italiana, lungo la quale l’esercito nazifascista intendeva arrestare l’avanzata degli Alleati dopo lo sfondamento da parte di questi della linea Gustav. Fu sfondata il 15 aprile 1945, quando gli alleati iniziarono a risalire l’Adriatico e i tedeschi si ritirarono verso nord, combattendo contro i partigiani e compiendo devastazioni e rappresaglie anche contro i civili.. Li portavano a fare questa specie di trincee nell’alto del bosco.

I giovani di Badia P., circa una decina, andavano la mattina in piazza con il proprio cestino per il mangiare della giornata, che poi li portavano a lavorare ma senza essere pagati. Dicevano[:] forse noi siamo al sicuro non ci faranno del male.

Questa linea la chiamavano tot9Si tratta della Todt..

In realtà erano sempre terrorizzati.

Intanto Badia era piena di tedeschi, dicevano noi siamo quelli più buoni. Verranno poi quelli cattivi di Itler10Si tratta di Hitler. Il discorso diretto, come in altri passaggi della narrazione, è indicato soltanto dalla presenza dei verba dicendi introduttori. Mancano del tutto i due punti e le virgolette.. Le famose SS.

Noi speravamo ciò non fosse vero.

Ricordo un episodio[:] una sera venne a casa mia un tedesco, aveva voglia di stare in mezzo a noi per fare due chiacchiere. Faceva strane mosse nel muro con le mani.

Aveva una gran ciucca che non stava in piedi, noi tutti intenti ad ascoltarlo, per farlo contento che la paura faceva 90.

Era un Omaccione alto e grosso che parla parla non si capiva nulla, aprì una borsetta grigioverde, e ci dette un pane quadrato e nero, che sembrava un mattone, e noi ringraziandolo fingendo di essere molto contenti.

Erano soldati austriaci ed avevano la pattuglia composta da 10 uomini in servizio per il paese. Infine parla parla a lume di candela a causa del coprifuoco, questo Omaccione alla fine si buttò in terra in mezzo alla casa e si addormentò, noi tutti intorno a guardarlo, con la paura che si sentisse male.

Pensavamo che se questo muore11Se fosse un puro discorso indiretto, dovremmo avere «fosse morto» invece di «muore», «quello» invece di «questo»: ciò crea un ibrido tra discorso diretto e discorso indiretto. ci avrebbero bruciati vivi.

Mio padre ci disse[:] voi andate a letto, rimango io a guardarlo.

Ma quello era ubriaco di grappa, e si mise a russare come un cinghiale ferito.

Al mattino si alzò borbottando, il mio babbo Lorenzo gli aveva dato anche il caffè sempre per tenerlo buono che non ci facesse del male, e lui se ne andò lasciandoci con la speranza di non vederlo mai più.

Insieme con i tedeschi in guerra c’erano anche soldati italiani[,] quelli giovani di leva perché chi non si presentava era un ribelle. Quelli del 1924 e 1925 erano molto giovani.

A Badia P. arrivavano quelli del genio, facevano strade le trincee[;]12Nello stile paratattico, senza subordinate, della narratrice, è spesso assente la semplice punteggiatura di base non solo tra una frase principale e l’altra ma anche nelle enumerazioni all’interno di frase, giacché lei riproduce il ritmo del discorso orale. falegnami[,] calzolai, molti di questi ragazzi avevano fatto amicizia con qualche famiglia per avere qualche parola di conforto con i giovani.

Ricordo si stava davanti alla mia casa tutti insieme a cantare le canzoni di guerra[,] quello era il nostro unico svago. Alcuni di questi giovani si erano fidanzati, con qualche ragazza del paese.

Anche io avevo trovato un corteggiatore[,] si chiamava «Italo Camporese»[,] era un bel ragazzo di Padova, lavorava come calzolaio per i tedeschi, era di leva da pochi mesi, era insieme con un mio cugino Lido.

Mi mandava sempre dei bellissimi messaggi facendomi capire che voleva diventassi la sua ragazza, ma io che ero tanto premurosa, decisi di aspettare la fine della guerra.

Sapendo che di lì a poco si doveva sfollare in Romagna13Parte della regione Emilia-Romagna confinante con la Toscana., dicevo se saremo ancora vivi e se Dio vuole ci ritroveremo. Invece ci hanno poi mandati in un altro posto.

È venuto a cercarmi con tanto affetto ma senza trovarmi e rischiando di essere fucilato dai tedeschi. Poi ho saputo da una lettera dei suoi genitori che cadde in un bombardamento vicino Bologna a «S. Giovanni in Persiceto».

La nostra adolescenza fu tutto un travaglio continuo.

Eravamo nel 1944 e i tedeschi invasero le nostre case, ricordo dicevano così[:] via via questa serve a noi.

In casa di un mio parente che abitava vicino a me di nome Guido, detto il Chioli, c’erano 4 tedeschi, 3 ufficiali e 1 attendente.

Quest’ultimo andava sempre a prendere le patate nel mio orto, si chiamava Sciuman14Il nome proprio Schuman è trascritto dalla narratrice secondo la pronuncia italiana., diceva sempre[:] bono bono cartofle15«Buone le patate».[.]Le prendeva senza chiedere ordine16Interferenza tra le espressioni «ricevere l’ordine» e «chiedere il permesso». a nessuno, non si poteva dire nulla loro erano i padroni.

Rimasero per molto tempo a farci tante paure.

Poi un bel giorno, decisero di farci sfollare, come era previsto, in altri paesi della Romagna.

Noi speravamo non ci toccasse andare [via] tanto presto.

Tutti i giorni vedevamo passare gli sfollati che venivano dai paesi vicini, come Poppi Porrena Moggiona17Sono tre località casentinesi della provincia di Arezzo. ecc.[;] le cose andavano sempre aggravandosi.

A Badia P. c’erano tanti soldati richiamati che avevano mogli e figli e giovani di leva che non sono più tornati. Mi ricordo un giovane mio paesano, Amelio Milanesi che morì in Affrica18Africa: il raddoppiamento della «f» è tipico del toscano. a Zabruch lasciando 2 bambini e la moglie in attesa del terzo. Allora tutti noi gli siamo stati molto vicini al suo dolore19Ridondanza del parlato e uso dialettale di «gli» per «lei», quindi: vicini a lei e al suo dolore.. Sono cose che non si dimenticano tanto facilmente.

Un giorno[,] ferma in una stradina di Badia P.[,] i paesani trovarono una topolino dei tedeschi grigioverde vuota, sicuramente la notte avevano combattuto i partigiani Romagnoli perché scendevano sempre a prendere i viveri, visto che partigiani di Badia non ce ne erano perché non avevano coraggio.

Allora il segretario politico fascista di Badia «Renato Ciampelli» fece chiamare le SS[,] quelli più tremendi, come ci diceva quel soldato austriaco.

Così iniziò la grande rappresaglia.

Arrivavano una mattina molto presto tanti camion pieni di soldati delle SS armati fino ai denti[,] sbucavano da tutte le parti come se fossero in piena battaglia.

Io con mia sorella eravamo al lavoro cioè sempre a Sassopiano[,] così è chiamata la zona dove abitavo20Il paese di Badia Prataglia è costituito da nuclei di case, detti «castelletti», tra i quali abbiamo Fiume d’Isola e Sassopiano.. In una casa si facevano le borse di paglia di grano, quello era il nostro mestiere.

Vedevamo dalla finestra [sulla] strada che va al Passo dei Mandrioli, arrivare tanti tedeschi con elmetti in testa e i fucili impugnati.

La padrona di casa non c’era, era andata a prendere le trecce di questa paglia vicino alla Verna. Allora io ho chiusa la porta a chiave, ad un certo punto abbiamo sentito bussare molto forte, allora prese dal panico, siamo corse di sopra nelle camere, dove stava dormendo una bambina nella culla di nome Adalisa Ciampelli. Quando tutto si è calmato siamo tornate a casa, e non abbiamo mai saputo se fossero stati i tedeschi che bussavano, o il figlio della Signora, Mario, che era in seminario ad Arezzo.

Il paese quel giorno era tutto sconvolto, si sentiva urla e pianti, si vedeva le nostre case in fiamme. Abbiamo poi saputo che nei giardini del monumento c’erano 4 morti.

Uno era mio cugino Gino Grilli di Fiume d’Isola altra zona di Badia.

Aveva 20 anni.

Avevano portato in piazza tutti gli uomini del paese davanti alle scuole per fucilarli, poi visto che partigiani non ci stavano[,] alcuni li hanno rilasciati. Io avevo il mio babbo e il mio fratello tra gli uomini pronti per essere fucilati. Avevano messo quei poveri corpi tutti insieme per terra nei giardini, e un tedesco armato faceva passare a vederli solo [i] parenti.

Mi rimase molto impresso un particolare di quella strage, un giovane di nome «Otello Zani» aveva sulla gola tutti i pallini di piombo che brillavano al sole. Non dimenticherò mai più quella scena.

Vedere quelle povere mamme [e mogli] con i capelli sciolti che si disperavano a chiamare i loro figli [e mariti] ad alta voce. Una di queste aveva due bambine. Ora non si ricordano più di suo padre. Addirittura sono a favore di chi ha ucciso questa povera gente innocente.

Arrivò così il giorno della partenza per la Romagna. Vennero un gruppo di ufficiali21Accordo secondo il senso tipico del parlato: venne un gruppo di ufficiali e disse... e dissero[:] Raus. Via, dare le chiavi di casa[.] Ma parlavano troppo bene, quelli erano fascisti italiani.

Così abbiamo fatto le valigie, ma soprattutto pensavamo ai viveri, alcune donne avevano fatto il pane, ma l’hanno dovuto lasciare da cuocere per partire in fretta.

Ci portarono tutti in chiesa con tanta paglia per terra.

Ogni tanto partiva un camion, che ci buttavano su, come sacchi di patate.

Partimmo in nottata, per la strada il camion spense i fanali, e così, abbiamo fatto il Passo dei Mandrioli completamente al buio.

Questo passo divide la Toscana dall’Emilia-Romagna e nel punto più alto supera i mille metri di altezza.

Viaggiammo al buio per evitare di venire bombardati. Siamo arrivati al mattino presto, ci hanno scaricato in una strada vicino Sarsina, un paese in provincia di Forlì.

Da lì poi abbiamo fatto tanti chilometri a piedi su una montagna.

I giovani e i più sani andavano a piedi mentre i vecchi e l’ammalati22Articolo plurale del toscano antico «li», usato al posto di «gli». e [i] bambini, su un camion della croce rossa.

Arrivati in un paese chiamato Ranchio23Ranchio: piccolo centro del comune di Sarsina., abbiamo trovato tutte le case vuote con la scritta sulle porte: lascio questa casa alla buona gente e al sole.

Gli abitanti erano sfollati ancora più avanti, per sfuggire agli attacchi dei tedeschi.

Venivano a rastrellare e portare via gli uomini, anche se tutti innocenti e brava gente, per portarli prigionieri in Germania.

A Ranchio nacque un bambino nella paglia che poi fu chiamato Luigi come suo zio ucciso dai tedeschi, i genitori Mosè e Lidia Zacconi erano di Badia Prataglia.

Anche noi ci siamo un po’ sistemati con la paglia per terra, e con pochi soldi che ci erano rimasti per comprare il cibo a mercato nero.

Avevamo diviso la somma un po’ per ciascuno, con la speranza di non finirli subito[;] purtroppo trovammo cose a mercato nero, chiamato così perché si pagava il doppio o il triplo del costo reale. Dopo un mese di permanenza a Ranchio, dato che i tedeschi continuavano a catturare i nostri uomini, [loro] dovevano ogni volta nascondersi.

Quando arrivavano i tedeschi[,] i romagnoli dicevano[:] via via niè la voipa24Espressione approssimativa in dialetto romagnolo che significa: «Scappiamo, arriva la volpe!».

Era rimasto in paese solo qualche vecchio nell’asilo con le suore.

Con i bombardamenti arrivarono anche le malattie come un’epidemia di tifo.

Molti sfollati sono morti, come una amica mia Albertina Bigiarini. Contemporaneamente il suo fidanzato morì in un mitragliamento, li seppellirono insieme.

Io avevo mia madre[,] mia sorella Clara e mio fratello Celso con la febbre altissima di tifo.

Erano a dormire per terra nella paglia e quando arrivava l’allarme li portavano in una stalla.

La mia mamma Maria che era la più anziana la mettevano in una mangiatoia.

Quando poi si sono un po’ rimessi dal tifo, abbiamo deciso di tornare a casa nostra a piedi.

Dovevamo fare però più di cento chilometri, abbiamo fatto i nostri fagotti e tutti insieme in fila indiana siamo partiti[,] eravamo circa cinquecento.

Qualcuno non ha avuto il coraggio di partire ed è rimasto, dato che dovevamo attraversare il fronte di guerra allo scoperto.

Così tra bombardamenti e mitragliamenti e tedeschi inferociti in fuga, che ammazzavano chi trovavano, piano piano come Dio ha voluto, abbiamo attraversato la montagna che porta a Sarsina. C’era chi piangeva[,] chi non ce la faceva più a camminare.

Come nostra madre, ancora con la febbre addosso[,] che si doveva reggere portandola a braccetto.

Qualche bambino faceva un po’ di baccano, un uomo chiamato Pietro Casetti diceva[:] state zitti che siamo in prima linea[.]

Lui era un po’ come dire il capo squadra.

Quando siamo arrivati vicino Sarsina[,] trovammo dei soldati inglesi colle radiotrasmittenti, erano le prime vedette.

La mia zia Stellina dalla gran paura[,] non sapendo chi fossero[,] gli fece il saluto fascista. Suo figlio Amelio l’ha sgridata, ma loro non ci hanno disturbato facendoci passare liberamente.

Scesi nella strada per Sarsina, abbiamo seguitato per S. Piero in Bagno25S. Piero in Bagno: frazione di Bagno di Romagna in provincia di Forlì-Cesena..

Sempre in fila indiana[,] stanchi morti per la stanchezza e la fame.

Per la strada ad ogni colonnino c’era un soldato indiano con l’orecchini anche nel naso ed il turbante in testa, io non avendoli mai veduti così da vicino avevo una gran paura.

La prima tappa abbiamo trovato altri soldati alleati con i cannoni che sparavano da dove si veniva noi. Ci siamo rifugiati in una capanna piena di sterco di cavallo lasciato dai tedeschi.

Pioveva a dirotto così gli alleati ci hanno dato un tendone tutto bagnato da mettere per terra.

Abbiamo così passato la notte tra le cannonate ed al mattino abbiamo ripreso il nostro fardello e via verso S. Piero in Bagno. Siamo arrivati la sera molto tardi con poco da mangiare datoci dagli indiani, cioè delle piade cattive fatte dicevano con i piedi[,] a me non piacevano ma gli altri per la fame le mangiavano lo stesso.

Arrivati a S. Piero in Bagno [eravamo] stanchi[,] con tutti i piedi sbucciati da quanta strada avevamo fatto e fradici di pioggia, però eravamo comunque felici di essere finalmente vicino a casa nostra che da lì dista circa trenta chilometri.

Il podestà del paese[,] che sarebbe stato il Sindaco dei nostri giorni, ci ha riuniti dicendoci che per andare a Badia non si poteva passare, tutte le strade erano rovinate, i ponti tutti crollati dai bombardamenti, che noi dovevamo aspettare qualche giorno. Per fortuna molte famiglie del paese di S. Piero in Bagno ci ospitarono molto volentieri.

Ricordo [che] eravamo molto contenti di non sentire più le cannonate e di essere ormai al sicuro, avendo già superato il fronte di guerra.

Io e la mia famiglia composta da sei persone, fummo ospitati da un anziano farmacista di nome Giocondo. Egli abitava con una nipote nubile di nome Fernanda. Ricordo sono stati molto bravi e carini con noi.

Ospitavano anche degli ufficiali inglesi che facevano un po’ i padroni[,] ricordo mettevano le gambe sulla tavola dopo che avevano mangiato. Io imparai a dire solo poche parole in inglese cioè «iust iah»26Forse «just here» oppure «just yes»..

A S. Piero in Bagno non era successo nulla perché i tedeschi erano solo passati in fuga e non c’era stata guerriglia perciò la gente non si era mossa dalle [sue] abitazioni.

Siamo così restati una decina di giorni dopo ci siamo fatti coraggio ancora un’altra volta e siamo tornati a casa.

Abbiamo trovato tutta la casa piena di sterco di cavallo, l’erba alta nel pavimento, il tetto tutto aperto, le reti dei letti l’abbiamo trovate in mezzo ai castagni. Il rifugio dove avevano messo tutta la roba piccola di casa era stato aperto ed avevano portato via tutto.

Sicuramente non erano stati i tedeschi ma i primi sfollati che arrivavano a casa.

Non trovando la sua27Forma del parlato toscano: «sua» per «loro». roba prendevano quella degli altri.

Prima di poterci rifare le cose perdute è passato un po’ di tempo.

Poi noi figli ci siamo sposati[,] io sono stata la terza.

La guerra è finita i primi del 1945 ed io mi sono sposata nel 1948 e sono andata ad abitare a Bibbiena.

Ci sono voluti diversi anni perché ci rimettessimo da tutte le perdite che abbiamo avuto e delle rovine nelle case e nei paesi.

  • 1. 8 settembre 1943. Il maresciallo Pietro Badoglio con un messaggio radiofonico annuncia l’armistizio di Cassibile siglato segretamente il 3 settembre tra l’esercito italiano e quello alleato. L’armistizio colse impreparate e prive di direttive le forze armate italiane, mentre il Governo, il re, la corte e gli alti comandi fuggivano da Roma a Brindisi mettendosi sotto la protezione degli angloamericani. Quasi tutta la penisola cadde sotto la pronta occupazione tedesca, parte delle truppe fu fatta prigioniera e internata in Germania mentre il resto si sbandava o si disperdeva nel tentativo di rientrare alle proprie case. Parte di questi si unirono alla lotta partigiana.
  • 2. Canzoncina popolare; il riferimento è a Benito Mussolini che, con la caduta del regime fascista, su ordine del re Vittorio Emanuele III, viene arrestato e inviato prima all’isola di Ponza, poi a Campo Imperatore in Abruzzo. Sarà in seguito liberato dalle forze armate tedesche il 12 settembre 1943 e fonderà la Repubblica Sociale Italiana con sede a Salò.
  • 3. Segnaliamo l’uso dialettale del pronome indiretto «gli» per «loro» e l’interferenza tra le espressioni «mettere al fuoco» e «dare fuoco». Si tratta di un italiano regionale molto vicino al parlato.
  • 4. Badia Prataglia: paese situato nel Parco Nazionale delle Foreste Casentinesi.
  • 5. Bibbiena: comune del Casentino in provincia di Arezzo.
  • 6. Nel riportare il discorso diretto, la testimone non fa uso dei due punti introduttivi e non utilizza mai le virgolette: la differenza tra discorso diretto e discorso indiretto libero è quindi talvolta assai tenue. Per aumentare la leggibilità del testo, introdurremo il discorso diretto con i due punti tra parentesi quadre.
  • 7. Si tratta di Mario Appelius, nato ad Arezzo nel 1892, radiocronista dell’EIAR noto per le sue affermazioni perentorie, l’adozione di toni aggressivi e «l’insulto farsesco».
  • 8. Linea Gotica è il nome dato alla linea difensiva Pesaro-Apuania, che tagliava in due parti la penisola italiana, lungo la quale l’esercito nazifascista intendeva arrestare l’avanzata degli Alleati dopo lo sfondamento da parte di questi della linea Gustav. Fu sfondata il 15 aprile 1945, quando gli alleati iniziarono a risalire l’Adriatico e i tedeschi si ritirarono verso nord, combattendo contro i partigiani e compiendo devastazioni e rappresaglie anche contro i civili.
  • 9. Si tratta della Todt.
  • 10. Si tratta di Hitler. Il discorso diretto, come in altri passaggi della narrazione, è indicato soltanto dalla presenza dei verba dicendi introduttori. Mancano del tutto i due punti e le virgolette.
  • 11. Se fosse un puro discorso indiretto, dovremmo avere «fosse morto» invece di «muore», «quello» invece di «questo»: ciò crea un ibrido tra discorso diretto e discorso indiretto.
  • 12. Nello stile paratattico, senza subordinate, della narratrice, è spesso assente la semplice punteggiatura di base non solo tra una frase principale e l’altra ma anche nelle enumerazioni all’interno di frase, giacché lei riproduce il ritmo del discorso orale.
  • 13. Parte della regione Emilia-Romagna confinante con la Toscana.
  • 14. Il nome proprio Schuman è trascritto dalla narratrice secondo la pronuncia italiana.
  • 15. «Buone le patate».
  • 16. Interferenza tra le espressioni «ricevere l’ordine» e «chiedere il permesso».
  • 17. Sono tre località casentinesi della provincia di Arezzo.
  • 18. Africa: il raddoppiamento della «f» è tipico del toscano.
  • 19. Ridondanza del parlato e uso dialettale di «gli» per «lei», quindi: vicini a lei e al suo dolore.
  • 20. Il paese di Badia Prataglia è costituito da nuclei di case, detti «castelletti», tra i quali abbiamo Fiume d’Isola e Sassopiano.
  • 21. Accordo secondo il senso tipico del parlato: venne un gruppo di ufficiali e disse...
  • 22. Articolo plurale del toscano antico «li», usato al posto di «gli».
  • 23. Ranchio: piccolo centro del comune di Sarsina.
  • 24. Espressione approssimativa in dialetto romagnolo che significa: «Scappiamo, arriva la volpe!»
  • 25. S. Piero in Bagno: frazione di Bagno di Romagna in provincia di Forlì-Cesena.
  • 26. Forse «just here» oppure «just yes».
  • 27. Forma del parlato toscano: «sua» per «loro».
Numero di catalogo:
  • Numéro: XX001
  • Lieu: Archivio Diaristico Nazionale di Pieve Santo Stefano, Arezzo, Toscane
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