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Introduzione. La Seconda Guerra mondiale raccontata dai testimoni toscani

Autore : 
Viviana AGOSTINI-OUAFI

La guerra in Toscana non si svolge in modo molto diverso che nelle altre regioni italiane del Centro e del Nord, fin quando il fronte non giunge sulle sue terre e vi rimane diversi mesi, in particolare dal giugno all’ottobre del 1944, dapprima sulle colline e nelle pianure, poi lungo le montagne degli Appennini. Prima dell’8 settembre 1943, le difficoltà della vita quotidiana, legate al razionamento dei viveri, all’assenza dei soldati mandati lontano sui fronti di guerra – fonte costante di inquietudine per le famiglie – marcano e ritmano gli avvenimenti narrati nelle memorie e nei diari. Dopo l’Armistizio dell’8 settembre invece, come si constata in tali racconti, l’occupazione tedesca della regione, la minaccia dell’arruolamento forzato nelle file della Repubblica sociale italiana (la RSI di Salò) di giovani ed ex soldati sbandati, le retate sistematiche di renitenti, partigiani ed ebrei, l’aumento rapido dei prezzi, le penurie alimentari e il mercato nero fanno prendere maggiormente coscienza del drastico peggioramento della situazione.

Fin dalla primavera del 1944, mentre il fronte è ancora appostato sulla Linea Gustav di Monte Cassino, si registrano già eccidi di civili toscani (uomini e donne ma anche vecchi e bambini), esecuzioni che si pongono come obbiettivo di combattere, tramite il principio del terrore preventivo, qualsiasi reazione delle popolazioni locali contro l’esercito della Wehrmacht e di scoraggiare tutte le forme di aiuto che tali popolazioni potrebbero offrire alla Resistenza1Cfr. M. Battini, P. Pezzino, Guerra ai civili. Occupazione tedesca e politica del massacro. Toscana 1944, Venezia, Marsilio, 1997.. In questi terreni montagnosi, molto boscosi e di difficile accesso, la presenza di «banditi» armati e ostili comincia a costituire per i tedeschi une vera e propria minaccia2Cfr. AA.VV., La Resistenza in Toscana. Atti e studi dell’Istituto Storico della Resistenza in Toscana, Firenze, La Nuova Italia, 1968; I. Biagianti, «Antifascismo, resistenza e stragi nell’aretino», in Guerra di sterminio e resistenza, a cura di I. Tognarini, Napoli, E.S.I., 1990, p. 175-186; G. Petracchi, Alleati e patrioti sulla Linea Gotica. 1943-1945, Milano, Mursia, 1995; I giorni della Nostra Storia. Testimonianze sulla società toscana dalla Resistenza alla Liberazione, a cura di R. Cavallini, L. Tassinari, Firenze, Editrice La Mandragora, 1997; sull’impegno delle donne nella Resistenza toscana, cfr. P. Gabrielli, L. Gigli, Arezzo in guerra. Gli spazi della quotidianità e la dimensione pubblica, Roma, Carocci, 2006, p. 165-209.. Così i massacri di civili sono sempre più sovente perpetrati in Toscana dalle truppe d’occupazione e dai fascisti lungo quella che i tedeschi hanno chiamato dapprima la Linea Gotica, poi la Linea Verde I3È così ribattezzata nel maggio 1944 per ragioni simboliche e di propaganda (cfr. M. Tarassi, «La Linea Gotica in provincia di Firenze», in AA.VV., Paesaggi della memoria. Itinerari della Linea Gotica in Toscana, Milano, Touring Editore, 2005, p. 29).. In previsione in effetti di una disfatta militare a Cassino e della successiva presa di Roma da parte degli americani, che avrà luogo di fatto il 4 giugno 1944, i tedeschi hanno concepito il progetto di opporre un’accanita resistenza alle truppe alleate sui crinali degli Appennini tra la Toscana e l’Emilia-Romagna4Cfr. A. Montemaggi, La Linea Gotica, Roma, Edizioni Civitas, 1990; L. Casella, The european war of liberation: Tuscany and the Gothic Line, Firenze, La Nuova Europa Editrice, 1983.. Si tratta di 320 chilometri, che vanno dalla costa tirrenica e dalle Alpi Apuane (Massa-Carrara) fino alla costa adriatica delle Marche (Pesaro), caratterizzati da un insieme di fortificazioni (bunker, trincee, piazzole di tiro…). Come per il Muro dell’Atlantico5Proponiamo la traduzione letterale «Muro dell’Atlantico», corrispondente al termine tedesco «Atlantikwall», al posto di quella di «Vallo Atlantico» usata dal 1942 in poi in Italia. Oltre ad essere ormai la parola «vallo» totalmente desueta e a connotazione letteraria, essa costituisce qui una netta scelta traduttiva di stampo linguistico e ideologico fascista: siccome allude al famoso Vallo britannico di Adriano, dietro tale parola si nasconde la retorica nazionalista del mito di Roma quale baluardo occidentale contro i barbari nordici., è l’organizzazione del lavoro tedesca, la Todt, che è incaricata di gestire questo vastissimo cantiere il cui scopo è di impedire agli Alleati di dilagare nella pianura Padana e quindi di conquistare il Nord d’Italia.

Il maresciallo tedesco Kesselring, appoggiato da Hitler ma contro il parere del generale Rommel, si fa carico di questa strategia di difesa a oltranza che gli storici definiscono una «ritirata aggressiva»6I. Tognarini, «Popolazioni e Linea Gotica», in Paesaggi della memoria, op. cit., p. 14. e che è stata descritta in modo chiaro nei documenti ufficiali redatti giornalmente dalla Wehrmacht7G. Spini, «La Linea Gotica: una guerra nella guerra», ibid., p. 9.. Grazie a questa strategia, le rappresaglie dei nazisti contro i civili inermi, in quanto reazioni «legittime» dell’occupante alle azioni violente dei «banditi» che imperversavano sulle montagne, tendono a imporsi nella memoria collettiva traumatizzata come una variante giustificata del massacro. La storiografia ha invece dimostrato che in molte occasioni la strage di civili non era stata preceduta da azioni partigiane8E. Droandi dimostra per esempio, grazie ai documenti delle truppe angloamericane consultati, che certe rappresaglie compiute contro dei civili vicino a San Giustino Valdarno il 6 luglio 1944 sono state «causate» da un’azione di guerra dovuta ai paracadutisti dell’VIII armata britannica (Le stragi del 1944 nella toscana orientale, Cortona, Calosci Editore, 2006, p. 59-61) e ricorda del resto che certi massacri (come quello di Moggiona, ibid., p. 95-97) non trovano un’origine in attentati anti-tedeschi. L’esemplarità spaventosa della strage è una finalità in sé, per facilitare nella ritirata la sopravvivenza dei soldati tedeschi, stanchi, esasperati e presi dal panico.. Il dibattito è sempre molto acceso e aperto su questa questione che, come ricordano vari storici e come si può constatare anche in alcuni dei nostri racconti toscani, non costituisce in questa regione una distinzione netta tra destra e sinistra, tra opposizione alla Resistenza o solidarietà nei suoi confronti quanto piuttosto una critica locale a certe azioni condotte da talune formazioni partigiane che avrebbero provocato la reazione del nemico senza intervenire poi per bloccare il massacro9Cfr. sulla questione P. Gabrielli, Scenari di guerra, parole di donne. Diari di donne nell’Italia della seconda guerra mondiale, Bologna, Il Mulino, 2007, p. 55-56; I. Tognarini, «Prefazione», in Don C. Mattesini, Guerra e pace [1977], Introd. A. Brezzi, Stia (Ar), Comune di Poppi – Edizioni Fruska (Quaderni della Rilliana; 25), 2003, p. 7-8.. Trattandosi di una guerra contro le truppe di occupazione, per di più alleate dei fascisti che costituivano una fazione politica militarizzata della popolazione italiana, è quasi impossibile stabilire un limite chiaro tra combattenti – soldati o partigiani – e popolazione inerme: la guerra contro l’occupante è anche una guerra civile.

Le conseguenze della presenza della Linea Gotica in Toscana sono tanto più gravi per gli abitanti della regione che il fronte di guerra, inizialmente avanzato in modo molto rapido da Roma verso Firenze, ha segnato un forte rallentamento in luglio (Firenze sarà liberata l’11 agosto), e poi registrato un arresto di vari mesi sui passi e i crinali delle montagne (Bologna, dall’altra parte della Linea Gotica e della Linea Verde II, non sarà liberata che il 21 aprile 1945). Il cattivo tempo ha in effetti impedito alla V armata americana, pesantemente equipaggiata, di essere rifornita delle necessarie munizioni durante l’attacco sferrato in settembre per alleggerire la pressione sul cruento fronte britannico di Rimini: la V armata ha così dovuto subire molte perdite (almeno 2.000 uomini tra morti e feriti) senza poter compiere, dopo aver superato il passo della Futa, la discesa verso Bologna10Ma il cimitero tedesco della Futa conta ben 31.000 tombe ed in esse riposano soltanto i morti accertati nei combattimenti dell’area tosco-emiliana (cfr. G. Spini, «La Linea Gotica: una guerra nella guerra», ibid., p. 9-10). La «ritirata aggressiva» non è quindi una scelta strategica meno suicida per i soldati dell’esercito germanico.. Le ragioni di questi ritardi nella liberazione della Toscana e poi dell’Emilia-Romagna sono molteplici. L’VIII armata britannica giunta nel Chianti troverà delle difficoltà impreviste poste dalla difesa tedesca11Cfr. la sintesi della «battaglia di Firenze» che propone Marta Baiardi nella sua introduzione a C. Benaim, E. Rosselli, V. Supino, Memorie di guerra e di persecuzione. Tre generazioni a confronto (Firenze1943-1944), a cura di M. Baiardi, Firenze, Consiglio regionale della Toscana (Edizioni dell’Assemblea; n° 61), 2012, p. 19-28., riuscirà a liberare prima, il 4 agosto, la parte di Firenze sulla riva sinistra dell’Arno ma, come riferiscono varie testimonianze fiorentine, tutta la parte sulla destra, dunque il centro storico con i suoi celebri monumenti, subirà un assedio più duro e assai carico di conseguenze: danni importanti ai vecchi quartieri medievali minati dai tedeschi sui Lungarni come pure la distruzione di tutti i ponti (escluso il Ponte Vecchio)12Tra l’altro, dopo aver abbandonato la riva sinistra dell’Arno, i tedeschi si erano appostati con i cannoni sulle colline a Nord della città, pronti a contrastare l’avanzata degli alleati con violenti bombardamenti.. Di fatto, la ragione principale di tale ritardo è l’apertura del fronte di guerra della Provenza, con l’operazione di sbarco detta Anvill, che farà spostare su questo nuovo teatro di guerra – tramite i porti di Livorno e d Napoli – delle truppe della V armata americana e della VIII armata britannica, compreso il corpo di spedizione francese che aveva partecipato alla liberazione di Siena il 3 luglio13Cfr. E. Droandi, La battaglia per Arezzo: 4-20 luglio 1944, Arezzo, Luciano Landi Editore, 1984, p. 75.. Grosseto è la prima città toscana liberata il 15 giugno. Seguono Siena, Arezzo il 16 luglio, Firenze, mentre Lucca, Pisa e Pistoia non lo saranno che inizio settembre. Massa-Carrara invece sarà liberata soltanto nella primavera del 1945.

Nel frattempo le popolazioni civili sono sotto pressione poiché gli uomini validi, se non vogliono unirsi alle truppe della RSI fedeli a Mussolini, devono andare a lavorare con la Todt facendo talvolta l’oggetto, secondo situazioni fortuite, di rappresaglie micidiali. Molti di questi uomini saranno fatti prigionieri e deportati all’avvicinarsi degli scontri in prossimità della Linea Gotica. Soltanto nella prima valle dell’Arno, il Casentino, circa 250 uomini saranno portati inizio agosto 1944 a lavorare in Germania. Dei testimoni raccontano quest’esilio forzato che per certuni sarà fatale. A causa dei numerosissimi sfollati che avevano creduto di trovare in quella valle isolata un luogo tranquillo lontano dalle città bombardate (Arezzo per esempio è in quel momento quasi deserta14Cfr. E. Droandi, Arezzo distrutta 1943-1944, Cortona, Calosci Editore, 1995, p. 137, in cui si afferma che Arezzo, alla fine di aprile del 1944, contava non più di un centinaio di abitanti. Essendo uno snodo stradale e ferroviario nevralgico, fin dal dicembre del 1943 la città aveva cominciato a subire una serie di pesanti bombardamenti alleati.), non si saprà probabilmente mai quanti sono quelli morti in tale esperienza. Nello stesso tempo gli abitanti di interi villaggi posti nell’immediato raggio della Linea Gotica, come narrano altri testimoni, sono fatti sfollare con la forza dalla polizia tedesca e dai soldati della Wehrmacht, in camion o a piedi, e condotti dalla Toscana in Emilia-Romagna. L’esodo getta sulle strade del Nord d’Italia donne, bambini e vecchi che saranno esposti ai combattimenti, alle malattie, alle rappresaglie e ai problemi di approvvigionamento. Gli sfollati, ovunque si trovino, saranno portati anche ad incontrare le truppe alleate, molto eterogenee e multiculturali: americani, inglesi, canadesi, australiani, neo zelandesi, indiani, sud africani, ecc. La collaborazione tra gli Alleati e i partigiani sulla Linea Gotica non è meno interessante sul piano storico15Sull’aiuto offerto per esempio dalle popolazioni locali e dai partigiani agli ex prigionieri britannici scappati dopo l’8 settembre 1943 dai campi di prigionia toscani, cfr. R. Absalom, L’alleanza inattesa. Mondo contadino e prigionieri alleati in fuga in Italia (1943-1945) [1991], Bologna, Pendragon – Uguccione Ranieri di Sorbello Foundation, 2011.. Sono del resto patrioti e resistenti che liberano certe città toscane, come Firenze o Arezzo, poco prima dell’arrivo delle truppe anglo-americane.

I racconti che abbiamo scelto di pubblicare in questa prima sezione narrativa toscana del sito web offrono uno spaccato vario e emblematico della Seconda Guerra mondiale quale si è svolta in questa regione dell’Italia centrale. Affinché ogni racconto sia completato e arricchito dagli altri racconti, dando così una dimensione narrativa corale ed epica a una storia individuale che diventa subito ed essenzialmente collettiva, abbiamo privilegiato uno spazio geografico circonscritto ma rappresentativo. Questo territorio va da Firenze ad Arezzo, dal Pratomagno agli Appennini della Toscana e della Romagna, dal Casentino alle valli limitrofe (Valdarno, Valtiberina), seguendo i narratori anche al di là di certi passi appenninici e della Linea Gotica, fino a Forlì e a Sarsina. Questa guerra è raccontata da testimoni nati in Toscana o residenti nella regione all’epoca dei fatti: è la guerra drammatica vissuta dai civili (bambini, persone anziane e donne in particolare), ma anche la difficile guerra vissuta dagli uomini in quanto soldati, resistenti e lavoratori forzati, in loco con la Todt oppure deportati in Germania.

Si tratta di racconti autobiografici orali relativamente recenti, prima registrati e poi trascritti: recente è solo la performance della registrazione, perché in verità questi narratori –Gilberto Giannotti, Natale Agostini e Donato Canaccini – non hanno mai smesso di raccontare la storia da loro vissuta durante la guerra16Essi sono ormai tutti e tre deceduti. D’ora innanzi faremo seguire al nome del narratore, tra parentesi tonde, il numero che indica la progressione consigliata nella lettura dei racconti toscani: Gilberto Giannotti (1), Natale Agostini (2), Donato Canaccini (3).. Abbiamo anche dei racconti scritti nel bel mezzo dell’azione (diari soprattutto) e memorie di diverse epoche organizzate secondo argomenti precisi o seguendo uno sviluppo cronologico. Vista la lunghezza di tutti questi documenti scritti, proponiamo soltanto degli estratti più o meno lunghi, mai i testi nella loro integralità17Segnaliamo tuttavia in nota, ogni volta che un’edizione integrale di queste testimonianze è stata già publicata in Italia, i riferimenti bibliografici completi. Siccome il nostro obbiettivo è di far conoscere tali racconti all’estero e in altre lingue, abbiamo privilegiato i brani più rappresentativi..

I documenti scritti raccolti da Patrizia Gabrielli provengono dall’Archivo Diaristico Nazionale di Pieve Santo Stefano (che si trova in provincia di Arezzo) e sono tutti redatti da donne: le memorie di Tosca Ciampelli (racconto n° 4) e il diario di Nanda Belli (n° 5) descrivono la guerra nelle montagne del Casentino, a Badia Prataglia, i bombardamenti e le esecuzioni di civili e partigiani, l’amore, la paura e la morte, poi l’esodo forzato degli sfollati di questo paese dell’Appennino toscano, presso il passo dei Mandrioli, verso la Romagna, terra amara dell’esilio18Cfr. su questo argomento E. Cortesi, 1940-1945: la provincia di Forlì in guerra. L’odissea degli sfollati. Il Forlivese, il Riminese e il Cesenate di fronte allo sfollamento di massa, Cesena, Il Ponte Vecchio, 2003.; Perla Cacciaguerra (n° 6) narra nel suo diario la vita di una fanciulla borghese in una villa occupata dai Tedeschi, in piena campagna toscana tra Arezzo e Firenze; Maria Alemanno (n° 7), Margherita Biagini (n° 8) e Marisa Corsellini (n° 9) raccontano nei loro diari la vita a Firenze sotto l’occupazione, poi quello che succede durante la battaglia per la presa della città: l’assedio e i bombardamenti degli alleati, le mine tedesche che esplodono nel cuore della città, le evacuazioni forzate, la mancanza d’acqua corrente e di luce, le penurie alimentari, la morte che incombe e colpisce, la perdita dei riferimenti memoriali e identitari, la risorsa salutare della scrittura autobiografica. Tutti gli altri documenti, scritti o orali, sono produzioni maschili e le loro fonti molteplici: l’Istituto Storico della Resistenza di Arezzo per l’intervista di Tiziana Nocentini al partigiano Donato Canaccini; un archivio privato dell’alto Casentino, quello di Gianni Ronconi, per le memorie del lavoratore deportato Gilberto Giannotti; il Centro studi guerra e resistenza di Poppi per l’intervista di Urbano Cipriani al soldato Natale Agostini e per le memorie di Don Cristoforo Mattesini (n° 10), prete di campagna in un paese, Lierna, posto a ridosso della Linea Gotica19Numerose sono in effetti le testimonianze degli uomini di Chiesa, impegnati da una parte nella difesa dei propri parrocchiani, molto spesso vittime – insieme a loro – della ritirata aggressiva tedesca e fascista, e dall’altra tenuti, in particolare nei monasteri, a redigere une cronaca quotidiana. Cfr. per esempio Don Antonio Buffadini, Diario di guerra [1946], Don Giuseppe Maria Cacciamani, Liber Chronicus del Monastero di Camaldoli, in Casentino in fiamme (1943-1944), a cura di M. Meschini, Stia, Edizioni Fruska, 2005. Il prezzo pagato dagli uomimi di Chiesa in Toscana è molto elevato: soltanto nella provincia di Lucca, oltre ai 1157 civili uccisi nelle rappresaglie e ai 302 partigiani caduti in combattimento, hanno perso la vita 28 preti e religiosi (cfr. D. Papini, La Linea Gotica in provincia di Lucca, in Paesaggi della memoria, op. cit., p. 22). Cfr. anche AA.VV., Il clero toscano nella Resistenza. Atti del Convegno di Lucca, 4-5-6 aprile 1975, Firenze, La Nuova Europa, 1975..

Il primo racconto toscano è quello di Gilberto Giannotti che, con vari aneddoti dall’ironia sferzante, secondo la migliore tradizione orale toscana, ci racconta l’entusiasmo dei fascisti nel 1940 per l’entrata in guerra dell’Italia, poi la gioia da lui provata alla caduta di Mussolini il 25 luglio 1943 e il penoso fuggi fuggi dell’8 settembre 1943. Ma ci racconta soprattutto come lui e un gruppo di paesani, fatti prigionieri dai tedeschi all’inizio di agosto del 1944, sono condotti in un campo di prigionia a Ludwigshafen, vicino a Mannheim. Lavoreranno in una fabbrica e poi dai contadini per sfuggire ai pesanti bombardamenti alleati. Il destino dei giovani della valle deportati in Germania è inversamente simmetrico a quello del soldato Natale Agostini che, fatto prigioniero dagli slavi l’8 settembre 1943, riesce a fuggire all’inizio di novembre, per essere subito deportato dai soldati della Wehrmacht in Germania dove i contadini, otto mesi dopo, l’aiutano a scappare in modo rocambolesco. Ritornato nel paesino natio nel momento stesso del passaggio del fronte di guerra, a differenza di Gilberto, Natale evita di essere di nuovo deportato fuggendo a sud delle linee nemiche. Fatto prigioniero dagli anglo-americani, è immediatamente imbarcato, essendo un aviere, sulle fortezze volanti. Eccolo allora occupato a bombardare la Germania nazista pur sapendo, giacché vi era due mesi prima, che laggiù ci sono soprattutto donne, ragazzi, vecchi e prigionieri di guerra20Sui molteplici destini dei soldati italiani dopo l’8 settembre 1943, cfr. A. Bistarelli, La storia del ritorno. I reduci italiani del secondo dopoguerra, Torino, Bollati Boringhieri, 2007, in part. p. 21-44; cfr. anche il numero monografico della rivista di Bergamo Studi e Ricerche di storia contemporanea, a cura di A. Bendotti, E. Valtulina, Internati, prigionieri, reduci. La deportazione militare italiana durante la seconda guerra mondiale, N° 51, 1999 e C. Pavone, «Les anciens combattants italiens de la Deuxième Guerre mondiale», in Mémoire de la Seconde Guerre mondiale. Actes du colloque de Metz, 6-8 oct. 1983, a cura di A. Wahl, Metz, Centre de recherche histoire et civilisation de l’Europe occidentale de l’université de Metz, 1984.. Le sue bombe hanno colpito la fabbrica in cui si trovano Gilberto e gli altri giovani della valle? Quanti innocenti ha dovuto sacrificare per liberare l’Europa dal nazismo?

In questa guerra totale, in cui la distinzione amico/nemico si fa particolarmente sfocata in cielo e in terra, avere la vita salva è spesso una questione di fortuna e di incontri. E per complicare le cose, tutti i buoni incontri non si situano in modo manicheo, rassicurante e semplicista, dalla stessa parte… È quello che Gilberto ripete costantemente agli altri lavoratori forzati, quello che Natale ricorda di continuo al suo intervistatore, è anche la convinzione profonda del partigiano Donato Canaccini. Il racconto di quest’ultimo sfugge a qualsiasi retorica dell’eroismo. Ormai molto anziano allorché racconta la sua sincera epopea di ribelle e di indignato, Donato ci offre il ritratto commovente di un essere umano libero che crede di aver fatto in gioventù solo quel poco che ha potuto: avendo avuto durante la Resistenza la missione di approvvigionare il suo gruppo, confessa di aver fatto mangiare ai compagni di lotta soprattutto castagne! Ma la sua voce sembra incrinarsi quando evoca uno dei suoi amici russi, quello che lui chiama fraternamente in italiano Sergio, morto al suo fianco in un macchione del Pratomagno quando i tedeschi, temendo dappertutto la presenza dei resistenti, tiravano a caso nel folto del bosco. Si scopre allora seguendo il filo dei racconti che la Toscana, la terra di Dante e di Petrarca, di Michelangelo e di Leonardo… è stata liberata dai toscani ma anche da tanti stranieri, non solo dai partigiani con le più svariate origini e dai soldati anglo-americani, ma persino da quegli uomini «con l’orecchini21L’articolo plurale maschile è qui quello del toscano antico: «li». anche nel naso ed il turbante in testa», che hanno fatto talmente paura a Tosca Ciampelli a causa del loro strano abbigliamentot22Essi erano arruolati nella VIII armata che riuniva le forze del Commonwealth Britannico. Due cimiteri sono consacrati specificamente agli indiani e ai Gurkha, quello di Forlì (1264 caduti) e quello di Rimini (790 caduti). Cfr. per questo G. Spini, «La Linea Gotica: una guerra nella guerra», op. cit., p. 9..

La polifonia di questi racconti, la varietà dei punti di vista, la spontaneità e la sincerità dei discorsi dei narratori – che non abbiamo mai censurato – i dolori e le gioie che raccontano, con la semplicità della lingua e dello sguardo del popolo, ci offrono un panorama straziante e vero di una tragedia collettiva mondiale. Questa tragedia non abbiamo il diritto di dimenticarla se vogliamo continuare a vivere in una Europa democratica, pacifica e aperta allo straniero, straniero nei cui confronti abbiamo un debito insolvibile, poiché ci ha aiutati a riconquistare la pace e la libertà perdute.

  • 1. Cfr. M. Battini, P. Pezzino, Guerra ai civili. Occupazione tedesca e politica del massacro. Toscana 1944, Venezia, Marsilio, 1997.
  • 2. Cfr. AA.VV., La Resistenza in Toscana. Atti e studi dell’Istituto Storico della Resistenza in Toscana, Firenze, La Nuova Italia, 1968; I. Biagianti, «Antifascismo, resistenza e stragi nell’aretino», in Guerra di sterminio e resistenza, a cura di I. Tognarini, Napoli, E.S.I., 1990, p. 175-186; G. Petracchi, Alleati e patrioti sulla Linea Gotica. 1943-1945, Milano, Mursia, 1995; I giorni della Nostra Storia. Testimonianze sulla società toscana dalla Resistenza alla Liberazione, a cura di R. Cavallini, L. Tassinari, Firenze, Editrice La Mandragora, 1997; sull’impegno delle donne nella Resistenza toscana, cfr. P. Gabrielli, L. Gigli, Arezzo in guerra. Gli spazi della quotidianità e la dimensione pubblica, Roma, Carocci, 2006, p. 165-209.
  • 3. È così ribattezzata nel maggio 1944 per ragioni simboliche e di propaganda (cfr. M. Tarassi, «La Linea Gotica in provincia di Firenze», in AA.VV., Paesaggi della memoria. Itinerari della Linea Gotica in Toscana, Milano, Touring Editore, 2005, p. 29).
  • 4. Cfr. A. Montemaggi, La Linea Gotica, Roma, Edizioni Civitas, 1990; L. Casella, The european war of liberation: Tuscany and the Gothic Line, Firenze, La Nuova Europa Editrice, 1983.
  • 5. Proponiamo la traduzione letterale «Muro dell’Atlantico», corrispondente al termine tedesco «Atlantikwall», al posto di quella di «Vallo Atlantico» usata dal 1942 in poi in Italia. Oltre ad essere ormai la parola «vallo» totalmente desueta e a connotazione letteraria, essa costituisce qui una netta scelta traduttiva di stampo linguistico e ideologico fascista: siccome allude al famoso Vallo britannico di Adriano, dietro tale parola si nasconde la retorica nazionalista del mito di Roma quale baluardo occidentale contro i barbari nordici.
  • 6. I. Tognarini, «Popolazioni e Linea Gotica», in Paesaggi della memoria, op. cit., p. 14.
  • 7. G. Spini, «La Linea Gotica: una guerra nella guerra», ibid., p. 9.
  • 8. E. Droandi dimostra per esempio, grazie ai documenti delle truppe angloamericane consultati, che certe rappresaglie compiute contro dei civili vicino a San Giustino Valdarno il 6 luglio 1944 sono state «causate» da un’azione di guerra dovuta ai paracadutisti dell’VIII armata britannica (Le stragi del 1944 nella toscana orientale, Cortona, Calosci Editore, 2006, p. 59-61) e ricorda del resto che certi massacri (come quello di Moggiona, ibid., p. 95-97) non trovano un’origine in attentati anti-tedeschi. L’esemplarità spaventosa della strage è una finalità in sé, per facilitare nella ritirata la sopravvivenza dei soldati tedeschi, stanchi, esasperati e presi dal panico.
  • 9. Cfr. sulla questione P. Gabrielli, Scenari di guerra, parole di donne. Diari di donne nell’Italia della seconda guerra mondiale, Bologna, Il Mulino, 2007, p. 55-56; I. Tognarini, «Prefazione», in Don C. Mattesini, Guerra e pace [1977], Introd. A. Brezzi, Stia (Ar), Comune di Poppi – Edizioni Fruska (Quaderni della Rilliana; 25), 2003, p. 7-8.
  • 10. Ma il cimitero tedesco della Futa conta ben 31.000 tombe ed in esse riposano soltanto i morti accertati nei combattimenti dell’area tosco-emiliana (cfr. G. Spini, «La Linea Gotica: una guerra nella guerra», ibid., p. 9-10). La «ritirata aggressiva» non è quindi una scelta strategica meno suicida per i soldati dell’esercito germanico.
  • 11. Cfr. la sintesi della «battaglia di Firenze» che propone Marta Baiardi nella sua introduzione a C. Benaim, E. Rosselli, V. Supino, Memorie di guerra e di persecuzione. Tre generazioni a confronto (Firenze1943-1944), a cura di M. Baiardi, Firenze, Consiglio regionale della Toscana (Edizioni dell’Assemblea; n° 61), 2012, p. 19-28.
  • 12. Tra l’altro, dopo aver abbandonato la riva sinistra dell’Arno, i tedeschi si erano appostati con i cannoni sulle colline a Nord della città, pronti a contrastare l’avanzata degli alleati con violenti bombardamenti.
  • 13. Cfr. E. Droandi, La battaglia per Arezzo: 4-20 luglio 1944, Arezzo, Luciano Landi Editore, 1984, p. 75.
  • 14. Cfr. E. Droandi, Arezzo distrutta 1943-1944, Cortona, Calosci Editore, 1995, p. 137, in cui si afferma che Arezzo, alla fine di aprile del 1944, contava non più di un centinaio di abitanti. Essendo uno snodo stradale e ferroviario nevralgico, fin dal dicembre del 1943 la città aveva cominciato a subire una serie di pesanti bombardamenti alleati.
  • 15. Sull’aiuto offerto per esempio dalle popolazioni locali e dai partigiani agli ex prigionieri britannici scappati dopo l’8 settembre 1943 dai campi di prigionia toscani, cfr. R. Absalom, L’alleanza inattesa. Mondo contadino e prigionieri alleati in fuga in Italia (1943-1945) [1991], Bologna, Pendragon – Uguccione Ranieri di Sorbello Foundation, 2011.
  • 16. Essi sono ormai tutti e tre deceduti. D’ora innanzi faremo seguire al nome del narratore, tra parentesi tonde, il numero che indica la progressione consigliata nella lettura dei racconti toscani: Gilberto Giannotti (1), Natale Agostini (2), Donato Canaccini (3).
  • 17. Segnaliamo tuttavia in nota, ogni volta che un’edizione integrale di queste testimonianze è stata già publicata in Italia, i riferimenti bibliografici completi. Siccome il nostro obbiettivo è di far conoscere tali racconti all’estero e in altre lingue, abbiamo privilegiato i brani più rappresentativi.
  • 18. Cfr. su questo argomento E. Cortesi, 1940-1945: la provincia di Forlì in guerra. L’odissea degli sfollati. Il Forlivese, il Riminese e il Cesenate di fronte allo sfollamento di massa, Cesena, Il Ponte Vecchio, 2003.
  • 19. Numerose sono in effetti le testimonianze degli uomini di Chiesa, impegnati da una parte nella difesa dei propri parrocchiani, molto spesso vittime – insieme a loro – della ritirata aggressiva tedesca e fascista, e dall’altra tenuti, in particolare nei monasteri, a redigere une cronaca quotidiana. Cfr. per esempio Don Antonio Buffadini, Diario di guerra [1946], Don Giuseppe Maria Cacciamani, Liber Chronicus del Monastero di Camaldoli, in Casentino in fiamme (1943-1944), a cura di M. Meschini, Stia, Edizioni Fruska, 2005. Il prezzo pagato dagli uomimi di Chiesa in Toscana è molto elevato: soltanto nella provincia di Lucca, oltre ai 1157 civili uccisi nelle rappresaglie e ai 302 partigiani caduti in combattimento, hanno perso la vita 28 preti e religiosi (cfr. D. Papini, La Linea Gotica in provincia di Lucca, in Paesaggi della memoria, op. cit., p. 22). Cfr. anche AA.VV., Il clero toscano nella Resistenza. Atti del Convegno di Lucca, 4-5-6 aprile 1975, Firenze, La Nuova Europa, 1975.
  • 20. Sui molteplici destini dei soldati italiani dopo l’8 settembre 1943, cfr. A. Bistarelli, La storia del ritorno. I reduci italiani del secondo dopoguerra, Torino, Bollati Boringhieri, 2007, in part. p. 21-44; cfr. anche il numero monografico della rivista di Bergamo Studi e Ricerche di storia contemporanea, a cura di A. Bendotti, E. Valtulina, Internati, prigionieri, reduci. La deportazione militare italiana durante la seconda guerra mondiale, N° 51, 1999 e C. Pavone, «Les anciens combattants italiens de la Deuxième Guerre mondiale», in Mémoire de la Seconde Guerre mondiale. Actes du colloque de Metz, 6-8 oct. 1983, a cura di A. Wahl, Metz, Centre de recherche histoire et civilisation de l’Europe occidentale de l’université de Metz, 1984.
  • 21. L’articolo plurale maschile è qui quello del toscano antico: «li».
  • 22. Essi erano arruolati nella VIII armata che riuniva le forze del Commonwealth Britannico. Due cimiteri sono consacrati specificamente agli indiani e ai Gurkha, quello di Forlì (1264 caduti) e quello di Rimini (790 caduti). Cfr. per questo G. Spini, «La Linea Gotica: una guerra nella guerra», op. cit., p. 9.
Numero di catalogo:
  • Numéro: IN001
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